La violenza contro le donne è purtroppo uno dei temi più ricorrenti fra quelli che la cronaca ci offre quotidianamente. Accanto alla guerra in Ucraina e in Medio Oriente, dopo le questioni di politica nazionale e internazionale, ora un caso ora un altro di violenza la fa da padrone. Si tratta di una vera e propria piaga della nostra società, da sempre. Certamente i mezzi di comunicazione hanno contribuito a portare pienamente alla luce il dramma della violenza, quasi sempre consumata all’interno delle mura domestiche: questo sicuramente è un bene, perché è giusto che si abbia chiara contezza del fenomeno, affinchè vi si possa porre rimedio, dall’altra io temo sempre che scatti il fenomeno perverso dell’emulazione.
E’ chiaro che l’emulazione scatta perché è forte la fragilità dilagante, non solo fra i giovani. Ora, io credo che occorra andare sempre contro ogni forma di stereotipo e di ideologia femminista che spesso, a mio avviso, si limita ad accusare l’uomo senza andare al cuore del problema. Sono personalmente allergica a qualsiasi forma di categorizzazione generalizzante: l’uomo sfrutta, la donna è sfruttata; l’uomo è violento, la donna subisce. Allo stesso modo non condivido il politicamente corretto che impone l’uso del maschile e del femminile. Come se fosse una semplice questione di forma. Certo, talvolta la forma è anche sostanza, ma non su questo fronte. Ovviamente, è assurdo il negarlo, ci sono purtroppo ancora realtà in cui il ruolo lavorativo, sociale, oserei dire umano, della donna non è riconosciuto, valorizzato, tantomeno rispettato. Io sono fermamente convinta che la violenza contro la donna si combatte solo con una reale, vera, autentica cultura della persona che è unica, inviolabile, libera, uomo o donna che sia. Se nel campo educativo non si compiono tutti gli sforzi per instillare nei giovani questa cultura della libertà e del rispetto, la violenza contro la donna, così come ogni altra forma di violenza, non potrà mai essere eliminata, semplicemente per il fatto che il tema non viene affrontato dalla giusta prospettiva. E’ inutile girare attorno alla questione: o si comprende che occorre intervenire in campo educativo in modo serio, non ideologico, non divisivo, oppure dovremo accontentarci di sterili dibattiti a seguito di ogni episodio di violenza.
Mi si consenta poi una riflessione ulteriore: dobbiamo combattere la superficialità che non fa differenze tra uomo e donna: quanti comportamenti superficiali sono spesso causa del sorgere della violenza, se, dall’altra parte, c’è una persona che ha una visione distorta e violenta nei confronti dell’altro? Occorre dire le cose come stanno: in molti casi, e si badi che non sto trovando forme di giustificazione perché il problema c’è ed è molto serio, una buona dose di prudenza avrebbe forse evitato il fenomeno violento. Di questa superficialità sono colpevoli uomini e donne, giovani e meno giovani, senza alcuna differenza: quanti padri mostrano ai loro figli immagini pornografiche sul cellulare, invitandoli a “svegliarsi”, in una forma di educazione sessuale aberrante che fa dell’atto sessuale una forma di dominio e di soddisfazione del piacere? Come educatrice, potrei portare decine di casi di questo genere, raccontati dagli stessi studenti imbarazzati per il comportamento dei loro padri. Allora, o si educa o non si educa, o si coltivano le relazioni interpersonali oppure il dilagare della violenza non avrà un argine.
La scuola ha ovviamente un ruolo di primissimo piano: sono contenta perché dal concetto di educazione sessuale tipico degli orientamenti di qualche anno fa (un’educazione sessuale che il più delle volte si riduceva all’elenco delle varie forme di contraccezione) si è passati all’idea di una educazione alle relazioni interpersonali, alle emozioni, all’affettività. E’ un concetto bellissimo che sembrava scontato ma come tutto ciò che è dato per scontato in realtà non lo è e sono contenta che le nuove Linee guida dell’Educazione civica affrontino il tema proprio in un’ottica personalista: è dalla persona, soggetto responsabile, rivendicatrice di diritti ma attrice di doveri, che passa il rinnovamento della società. Ed è anche drammaticamente vero che spesso la scuola rimane per molti giovani l’unica agenzia educativa in mezzo al vuoto educativo della famiglia e, spesso, anche delle realtà ecclesiali le cui proposte non intercettano, non riescono più a farlo, il bisogno educativo della società. Spesso i contenuti trattati durante quei bellissimi progetti educativi che so essere avviati nelle scuole sono completamente contraddetti dai comportamenti degli adulti. E il ragazzo che tocca con mano l’incoerenza, che non ha ricevuto un’educazione affettiva equilibrata, complice l’utilizzo smodato del cellulare, è un ragazzo potenzialmente pericoloso che al primo rifiuto ricevuto può manifestare comportamenti violenti.
Ecco perché sono convinta che l’educazione, attraverso la scuola, possa essere l’antidoto contro la violenza contro la donna e in qualsiasi forma. Ovviamente solo una scuola libera, in quanto liberamente scelta da genitori, studenti e docenti, può fare la differenza, in quanto è solo la ricchezza dell’offerta formativa il vero presidio contro la violenza, perché, a monte, è il presidio contro il monopolio educativo. Invito dunque tutta la società a compiere il proprio dovere: la politica affinchè liberi la scuola e la scuola stessa affinchè sia consapevole del proprio ruolo educativo e della reale differenza che può fare per la società. Tutte sono chiamate a dare il proprio contributo: dalla piccola scuola dell’Infanzia paritaria di paese alla grande scuola statale di città, in una grande tela di relazioni e di cambiamento