Se chiedessimo ad ogni persona cosa sia la felicità, otterremmo tutte risposte differenti. Nella Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d’America scritta dal presidente Thomas Jefferson (1801-1809) nel 1176 si legge: “… Noi riteniamo che le seguenti verità, siano per se stesse evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili e che tra questi vi siano la vita, la libertà e la ricerca della felicità…”.
La felicità per i greci aveva diversi nomi: “eudemonia” con il significato di avere uno spirito buono, oppure “olbos”, indicava la ricchezza e “makaria” che potremmo tradurre in beatitudine, mentre per i latini stava ad indicare la fortuna, nonché “felicitas” e qui si allacciava alla radice indoeuropea “fe”, il cui significato primario riguardava la fecondità, la prosperità e il nutrimento. Nel lontano passato la ricerca della felicità da parte dell’umanità, è stato un argomento discusso già dai filosofi in tutte le epoche e contesti storici, e da quanti indagarono e indagano l’animo umano, scrittori, registi e intellettuali in genere. Scriveva il filosofo francese Jean Jacques Rosseau (1712-1778): “Tutti gli uomini vogliono essere felici, peraltro per poter raggiungere una tale condizione bisogna col capire cosa si intende per felicità”.
E a pensarci bene è vero. Per qualcuno la felicità può essere uno stato emotivo, una condizione soggettiva piacevolmente positiva, per altri è uno stato esistenziale che dà una sensazione di appagamento. Ogni essere umano da quando viene al mondo ha un solo obiettivo quello di essere felice. L’uomo ha bisogno della felicità come l’aria che respira ed è per questo che si protende sempre verso di essa.
C’è chi sosteneva e chi sostiene ancora oggi, che la vera felicità è un insieme di attimi, o che non esista un concetto o un pensiero diretto ed unico su cosa sia la felicità e allo stesso tempo come si possa essere di conseguenza felici. Talvolta l’essere umano, pieno e preso com’è dai tanti problemi di ogni giorno non s’accorge che basterebbe poco per essere felice oppure che questa condizione o stato d’animo lo si possa trovare semplicemente guardandosi intorno.
La vita ci porta a sentire la nostalgia della felicità, in quanto non siamo sempre in grado di riconoscerla e di apprezzarla, ma chiediamo sempre di più. La felicità interiore procura all’individuo, una gioia che è distaccata dai fattori esterni, dalle persone e dagli oggetti che si possiedono, quando la si sperimenta ci si sente completamente appagati e non ci si sente coinvolti dalle cose che si possiedono.
Lo psichiatra Paolo Crepet, parlando della felicità ci ricordava: “… Se capisci un po’ il mondo non puoi essere felice, e chi ostenta questa emozione come se fosse costante, non fa altro che dissimulare la realtà per negare le ovvie sofferenze e far finta che le difficoltà non esistano…”.
Per Crepet in definitiva, la felicità è una ricerca. Non è avere qualcosa, e nemmeno essere felici in senso materiale, semmai è tentare di esserlo tenendo presente il fatto che, nel momento stesso in cui ci si riesce, si è già cessato di esserlo. Tutto questo porta allora, a vedere la felicità come qualcosa da ricercare è un continuo viaggio che l’uomo intraprende nel corso della propria esistenza per provare a vivere meglio.
Spesso la felicità è stata descritta come uno stato d’animo, chiaramente positivo, caratterizzato soprattutto da sentimenti che comprendono la gioia, la soddisfazione e il benessere. Freya Madeline Stark (1893-1993) una viaggiatrice e scrittrice britannica sosteneva che: “Non ci può essere felicità se le cose in cui crediamo sono diverse dalle cose che facciamo…”, infatti se viviamo una vita che contraddice ciò in cui crediamo, finiremo per ostacolare la nostra stessa felicità.
Quando si è in pace con la propria coscienza la felicità diventa un dono, una grazia che invade il cuore: “La felicità è come una farfalla, se la insegui, non riesci mai a prenderla, ma se ti metti tranquillo, può anche posarsi su di te”, questo pensiero di Nathaniel Hawthorne (1804-1864) il romanziere americano della “Lettera scarlatta”, ci ricorda che spesso, nel tentativo di raggiungere la felicità, la nostra concentrazione ricade solamente sull’obiettivo finale e dimentichiamo così di apprezzare il momento presente, ma, essa può arrivare quando meno ce lo aspettiamo, se siamo disposti ad accoglierla.
Capita sovente che non ci riteniamo soddisfatti quando un desiderio si realizza, ma subito cominciamo a desiderare sempre qualcosa in più e come afferma il sociologo Zigmunt Bauman (1925-2017): “Desideriamo il desiderio più che la realizzazione di esso”. Potremmo fare nostre allora, le parole di S. Agostino che la: “La felicità è desiderare quello che si ha”, quel desiderare ciò che si ha, significa vivere pienamente il momento presente, senza rimpianti per il passato o ansie per il futuro.
Gesù non ha dato definizioni sulla felicità, non ha fatto indagini o ricerche, né tantomeno ha suggerito libri da leggere, ha dato all’umanità la strada da percorrere per raggiungerla e lo ha fatto in maniera semplice, ma coinvolgente davanti a migliaia di persone, per tutti nel “Discorso della Montagna” si trovano le beatitudini che conducono ogni individuo alla felicità, ribadendo che la vera felicità la si trova nell’umiltà, nella giustizia e nella pace. E’ un programma per chi crede che riguarda la nostra vita, se vorremmo non solamente sentirci, ma essere felici.