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Paritaria don Oreste Benzi: la scuola della pedagogia del gratuito

Intervista a Daniele Tappari, dirigente della scuola paritaria don Oreste Benzi: "Così cerchiamo di far fronte all'emergenza educativa"

Insufficienza di spazi adeguati, eccessiva burocratizzazione e la necessaria rivalutazione della figura del docente che nel corso degli anni ha perso di prestigio. Sono queste le tre lacune del sistema scolastico italiano secondo Daniele Tappari, membro della Comunità Papa Giovanni XXIII e dirigente dell’Istituto scolastico paritario bilingue “Don Oreste Benzi“.

Far fronte all’emergenza educativa

L’Apg23, fondata dal Servo di Dio don Oreste Benzi è impegnata in diversi settori: la lotta alla prostituzione schiavizzata e alla tratta di esseri umani, l’impegno per aiutare chi è caduto nel tunnel della droga con le comunità terapeutiche, le Capanne di Betlemme che danno riparo e il calore di una famiglia ai senza tetto, le mense per i poveri, l’accoglienza di minori, giovani, adulti, nelle case famiglia, grande intuizione del fondatore don Oreste. Da qualche anno, l’Apg23 si è spinta verso un nuovo fronte: quello dell’istruzione. Per far fronte all’emergenza educativa ha preso in gestione una scuola dell’infanzia Rimini, nei pressi della parrocchia la Resurrezione; una a Modena e una Forlì, quella intitolata al fondatore dell’associazione.

La scuola del gratuito

In un’intervista di marzo 2020, Lucia Bolcato, aveva spiegato a Interris.it cos’è la scuola del gratuita: “La Scuola del Gratuito non è un metodo, ma un modo di essere, un modo di vivere la scuola diverso. Si propone di far crescere, sviluppare, per amore, i doni e le risorse contenuti in ogni persona, secondo il progetto originale e prezioso, unico e irripetibile che la persona stessa contiene, al di fuori di ogni logica di profitto individuale o collettivo su essa. Solo la gratuità educa davvero perché fa sentire la persona amata e perciò libera di scoprirsi e di essere sé stessa”.

Addio ai voti

Nella scuola paritaria intitolata a Don Oreste Benzi, si è deciso di abbandonare i voti: dopo i compiti o le verifiche, gli alunni non saranno più sottoposti alla classica valutazione, ma riceveranno un giudizio che prima di tutto metterà in luce le caratteristiche positive di ognuno, successivamente saranno affrontati anche i punti di debolezza e ciò in cui bisogna migliorare. Non ci sarà più l’ansia da prestazione, ma sarà un modo per spingere l’alunno a riscoprire il gusto di imparare, stimolando una sana curiosità. Per approfondire l’argomento Interris.it ha intervistato il dirigente scolastico della paritaria don Oreste Benzi, Daniele Tappari.

Nella paritaria “Don Oreste Benzi” avete deciso di abbandonare il voto per dare agli alunni un giudizio, come mai?
“Nasce dalla pedagogia del gratuito, creata da don Oreste Benzi, già alla metà degli anni Novanta. L’idea è quella di mettere al centro dell’educazione e della scuola la relazione fra il docente e il ragazzo, cercare di accompagnarlo verso la scoperta del mondo, non tanto per ottenere un voto, ossia un profitto, un riconoscimento formale dei propri meriti, ma per stimolare l’amore per la conoscenza. In questo contesto il voto si pone come un ostacolo, nel senso che può succedere che l’alunno sia più preoccupato di prendere un bel voto più che imparare le cose. La nostra Comunità Papa Giovanni XIII ha colto l’occasione di avviare qui a Forlì, circa tre anni fa, una scuola che cercasse di incarnare l’eredità preziosa di don Oreste Benzi”.

Ci può spiegare cos’è la pedagogia del gratuito?
“Mi piace partire dall’etimologia della parola gratuito, che viene dal latino e si riconnette ad una radice che è legata al cuore. La gratuità è vissuta quando si mettono al centro le relazioni profonde, quello che è costruttivo per l’essere umano. In questo senso si sviluppa la nostra proposta. Come dicevo prima c’è una grande attenzione alla relazione che deve essere vera, sincera, profonda e vitale, sia tra insegnanti e alunni sia tra gli stessi docenti. Spostare il cuore dell’educazione all’imparare dei concetti e delle nozioni, al vivere in una certa maniera. Ci sono anche tante conseguenze concrete, probabilmente quella che colpisce di più è la questione del voto: per rispettare l’obbligo che viene imposto dalla legge viene data una pagella ai genitori, chiedendo che i bambini non la vedano. Questo non vuol dire che non ci sia una valutazione, ma viene fatta in maniera diversa: si valorizza il dono che ogni alunno ha. In occasione delle varie prove, verifiche, il maestro o il professore non mette il voto, ma mette un giudizio, un rimando a ciò che è stato fatto. In primo luogo vengono messi in luce gli aspetti positivi, poi quelli da consolidare. Viene fato per tutto l’anno scolastico, ma in particolar modo nel momento della consegna delle pagelle. Non c’è più l’ansia della prestazione”.

A causa del coronavirus, le scuole paritarie sono state investite da una grave crisi economica. Cosa dovrebbe fare lo Stato?
“Il problema delle scuole paritarie esisteva già nel passato, l’emergenza Covid-19 lo ha acuito. Ogni anno chiudono molti istituti paritari. E’ abbastanza condivisa l’idea da chi gestisce queste scuole che lo Stato dovrebbe riconoscere anche dal punto di vista economico, non solo da quello formale e amministrativo, l’importanza delle paritarie contribuendo alla loro gestione. Purtroppo, il sistema è abbastanza vario: con il crescere dell’età degli alunni, diminuiscono i contributi dello Stato. Un sostegno più forte per chi gestisce i più piccoli, discreto – ma insufficiente – per le elementari, ancora meno per le superiori. Noi delle paritarie ci troviamo di fronte a due sfide enormi, la prima quella educativa, la seconda quella economica gestionale: far quadrare i conti è davvero molto difficile. La situazione del Covid-19 ha acuito enormemente queste difficoltà perché le famiglie che hanno fatto la scelta della paritaria, si trovano in difficoltà nel pagare una retta che a volte è importante. L’auspicio è questa inversione di tendenza e farsi carico di questa parte importante del mondo scolastico italiano perché, in vari ordini, sono circa 900 mila gli studenti che frequentano le paritarie”.

Ci dovrebbe essere una maggiore attenzione anche per gli alunni disabili?
“In generale, come sappiamo, la scuola italiana si è distinta per il progetto di integrazione degli studenti con disabilità e in questo senso è all’avanguardia, un punto di eccellenza nel panorama internazionale. Tra quello che c’è scritto sulla carta e quello che viene realizzato, però, c’è sempre un po’ di differenza. Il Covid-19 ha messo in evidenza i bisogni di questi ragazzi che, in alcuni casi, sono stati un po’ abbandonati a sé stessi perché, rispetto gli altri alunni, hanno delle necessità diverse. Mettere al centro il bambino con disabilità è un’altra rivoluzione, vuol dire cambiare le prospettive, formare la mentalità di tutti, andare al passo con i più deboli: non è un obiettivo facile ma va perseguito. Anche in questo caso c’è una discrepanza di trattamento delle scuole statali e paritarie. La cosa paradossale è che se, in una scuola paritaria di primo o secondo grado, si accoglie un ragazzo con disabilità, di fatto il contributo che viene elargito dallo Stato per pagare le ore dell’insegnante è minimo, non c’è una corrispondenza tra quello che si spende e quello che viene rifuso. C’è molta strada da fare nel riconoscimento della dignità di questi bambini affinché possano poter scegliere quale scuola frequentare”.

Quali sono i punti di debolezza del sistema scolastico italiano?
“Uno dei temi che viene messi in luce in questo ultimo periodo è quello degli spazi, che solo apparentemente può sembrare una banalità: classi sovraffollate, mancanza di stanze per i laboratori. C’è anche un problema di burocratizzazione della scuola, sebbene sia stata affermata l’autonomia dei singoli istituti, ci si ritrova in un sistema che ‘ingessa’ molto le iniziative e il meccanismo stesso della docenza. L’altro tema riguarda la figura del docente, che in questi ultimi decenni, ha perso prestigio e importanza, non viene considerato dal punto di vista sociale e sappiamo bene cosa comporta nella relazione con le famiglie e nel rapporto educativo con i ragazzi. C’è la tendenza, da parte di alcuni genitori a voler scavalcare l’insegnante. Il docente deve essere nuovamente valorizzato, non solo a livello economico, ma anche sociale, come riconoscimento del ruolo fondamentale che ha nella vita di tanti bambini e ragazzi”.

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