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IA e disuguaglianza economica: una nuova frontiera per la riduzione della povertà?

Foto di Kohji Asakawa da Pixabay

Negli ultimi decenni, l’intelligenza artificiale (IA) ha compiuto passi da gigante, passando da tecnologia emergente a strumento pervasivo che influenza quasi tutti i settori economici e sociali. Sebbene l’IA sia spesso associata a innovazioni entusiasmanti e a miglioramenti della produttività, il suo impatto sulla disuguaglianza economica e sulla riduzione della povertà rimane controverso e sfaccettato. Da un lato, l’IA offre possibilità uniche per combattere la povertà e supportare le comunità più vulnerabili, dall’altro può esacerbare le disuguaglianze, avvantaggiando coloro che già dispongono di risorse e accesso alla tecnologia.

La natura della disuguaglianza economica è complessa e stratificata, e l’IA potrebbe diventare una variabile aggiuntiva che influenza i già fragili equilibri economici. Da una parte, le tecnologie basate su IA promettono di rendere più efficienti i processi produttivi e di aumentare l’accessibilità a servizi e prodotti. Ad esempio, in settori come l’agricoltura, l’IA può ottimizzare l’uso delle risorse, permettendo una maggiore resa e riducendo i costi. Allo stesso tempo, tuttavia, il divario digitale tra chi ha accesso a queste tecnologie e chi ne è escluso si fa sempre più marcato. In molte economie in via di sviluppo, per esempio, l’accesso all’IA è limitato a pochi attori chiave, spesso aziende internazionali o gruppi industriali con risorse per investire in tali tecnologie. Questo non solo allarga la forbice economica tra nazioni e regioni, ma anche all’interno delle comunità stesse, dove l’accesso alla tecnologia determina il successo o il fallimento di imprese locali, spesso a scapito dei piccoli produttori.

Un aspetto interessante dell’intelligenza artificiale è il suo potenziale di inclusione finanziaria, specialmente per le persone che non hanno accesso ai servizi bancari tradizionali. Attraverso tecnologie come l’analisi dei dati e il machine learning, l’IA può creare profili di credito più accurati e inclusivi, basati su comportamenti alternativi anziché sui criteri di credito tradizionali. Questo potrebbe aprire nuove possibilità per milioni di persone che attualmente non hanno accesso a prestiti, carte di credito o altri strumenti finanziari.

In Africa, ad esempio, alcune start-up utilizzano l’IA per sviluppare soluzioni di microcredito destinate alle popolazioni rurali, dove spesso le persone non hanno né documenti ufficiali né un sistema bancario di riferimento. Grazie all’IA, queste persone possono finalmente entrare nel sistema economico formale, costruendo un percorso verso l’autosufficienza e migliorando le loro condizioni di vita. Un’altra questione rilevante riguarda l’automazione, che potrebbe trasformare drasticamente il mondo del lavoro. Molte mansioni ripetitive e manuali, spesso svolte da persone a basso reddito, sono tra le prime a essere sostituite da macchine intelligenti. Questo fenomeno potrebbe ampliare il divario tra lavoratori qualificati e non qualificati, poiché le opportunità di impiego per coloro che non hanno competenze tecniche specifiche potrebbero ridursi notevolmente.

Un esempio evidente è rappresentato dal settore manifatturiero, dove l’automazione sta sostituendo i lavori manuali a ritmo crescente. Questa tendenza minaccia le economie delle regioni più povere, dove molti lavoratori dipendono da occupazioni poco qualificate. Tuttavia, se gestita correttamente, l’IA potrebbe anche creare nuove tipologie di lavoro che richiedono competenze di livello superiore, ma questo implica investimenti in formazione e accesso all’istruzione tecnologica, un aspetto che non è ugualmente disponibile per tutti.
Per evitare che l’IA aumenti le disuguaglianze, è fondamentale investire in formazione e alfabetizzazione digitale.

Governare l’intelligenza artificiale significa comprendere come utilizzare al meglio le sue potenzialità per il bene comune, assicurando che sia accessibile a tutti, indipendentemente dalla loro situazione economica o geografica. Alcuni governi e organizzazioni stanno già investendo in programmi di educazione tecnologica nelle scuole e nei centri comunitari, mirati a fornire competenze digitali a giovani e adulti in contesti a basso reddito. Tuttavia, l’accesso all’educazione non è sufficiente se non viene supportato da infrastrutture adeguate, come accesso a Internet e dispositivi tecnologici di base. Senza questi investimenti strutturali, il potenziale dell’IA per ridurre la povertà e aumentare l’inclusione sociale resterà largamente inespresso. Anche le aziende che sviluppano tecnologie basate sull’intelligenza artificiale hanno un ruolo fondamentale da svolgere nel ridurre le disuguaglianze. Alcune multinazionali tecnologiche stanno già esplorando il concetto di IA responsabile, promuovendo pratiche aziendali etiche e progettando tecnologie che tengano conto degli impatti sociali.  Le aziende che operano nei Paesi in via di sviluppo, ad esempio, potrebbero fornire soluzioni gratuite o a basso costo alle comunità locali, e adottare modelli di business sostenibili.

Tuttavia, il rischio è che queste iniziative restino solo operazioni di facciata. Solo un impegno concreto e trasparente, orientato alla responsabilità sociale, potrà garantire che l’IA contribuisca veramente al benessere delle popolazioni più svantaggiate e non solo al profitto delle grandi aziende. L’intelligenza artificiale ha un potenziale immenso per ridurre la povertà e migliorare le condizioni di vita di milioni di persone, ma solo se utilizzata in modo etico e inclusivo. Se i governi, le aziende e la società civile collaborano per garantire l’accesso a queste tecnologie e investono nelle competenze necessarie per il loro utilizzo, l’IA potrebbe diventare uno strumento potente per combattere la disuguaglianza economica. Tuttavia, senza un impegno concreto in questa direzione, rischiamo che l’IA diventi solo un altro fattore di disuguaglianza in un mondo già profondamente diviso.

Paolo Berro: