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Il gesto di massima umiltà dei Magi

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È appena trascorso il periodo di Natale con la festa dell’Epifania e proprio quest’ultima ci impone una riflessione che sovente tralasciamo: i Magi, astronomi colti e sapienti del loro tempo che risiedevano in terre lontane e non appartenevano alla religione giudaica, compiono un lungo viaggio seguendo una stella per cercare il Re dei Giudei annunziato dalla profezia di Michea (5,1); condotti da Erode apprendono che costui non conosce la profezia (egli invero non era ebreo ma apparteneva alla stirpe degli edomiti, i discendenti di Esaù) e si recano a Betlemme, il villaggio di cui parla la profezia, con la promessa di tornare a riferire la notizia. Qui, guidati dalla stella, trovano il bambino nella mangiatoia, si prostrarono e lo adorarono.

Il gesto che si coglie nel comportamento dei Magi – che rappresentano visibilmente l’universalità della incarnazione di Cristo – è della massima umiltà poiché essi non esitano a prostrarsi dinanzi a colui che il profeta aveva annunziato come il Re inviato da Dio a condurre Israele, che si manifesta a tutto il mondo. Essi, pur sapienti e facoltosi, tanto che recano con loro doni da offrire, si abbassano dinanzi a Lui perché ne riconoscono la grandezza e l’importanza, senza lasciarsi ingannare dalle apparenze o forse proprio in relazione ad esse: Erode, e con lui tanti altri, non potevano credere che un re, un grande come ci si aspettava dovesse essere l’inviato da Dio, potesse nascere in una condizione così povera ed umile. Ed invece i sapienti, che avevano viaggiato e recavano doni, e proprio perché erano tali hanno saputo riconoscerlo in quella sua condizione.

L’umiltà, invero, è lo stato di consapevolezza dei propri limiti poiché la sua radice etimologica è nel sanscrito bhumi, da cui il latino humus, che vuol dire terra, da cui trae origine anche umano, a sottolineare il legame da cui l’uomo deriva ed a cui ritornerà (Gen. 3,19), matrice sostenuta anche al di fuori del contesto biblico con la teoria dell’abiogenesi (autoriproduzione dalla materia inorganica con variazioni, proposta dal biofisico israeliano E. Trifonov).

Umile, quindi, è riconoscere le proprie origini dalla terra, essere consapevoli dei propri limiti, al contrario del superbo che si pone super bios, sopra la vita, innalzandosi fino a perdere i contatti col suolo da cui deriva ed a cui rimangono i suoi simili. Se la superbia è annoverata tra i vizi capitali, l’umiltà appartiene alla più nobile delle condizioni umane poiché consente di non dimenticare le proprie origini e di rispettarle, in uno ai limiti che da essa ci derivano. Non è la modestia, che è la condizione di chi tace i propri meriti. Umile è la parola che più abbiamo ascoltato in questo tempo di Natale, riferito alla condizione in cui si è rivelato il Re dei Re, che venne fra i suoi e i suoi non lo hanno accolto (Gv 1,11), alla mangiatoia nella quale ha assunto la sua natura umana, per farsi ultimo affinché ognuno potesse precederlo, ai pastori che lo hanno lodato e glorificato.

Se l’Onnipotente ha scelto di venire al mondo tra gli umili e di rivelarsi a costoro che non hanno perso il contatto con la terra da cui hanno avuto origine, che ancora sono legati al suolo che calpestano, che non hanno assunto condizioni aeree come la superbia, allora la condizione di umiltà va completamente rivalutata nel suo significato che oggi tende ad attribuirsi, sottolineando la scarsità di mezzi che invece caratterizza la povertà, oppure la condizione d’inferiorità in questa accanita corsa ad essere superiori agli altri, magari solo possedendo di più, solo per la gioia dei mercanti. L’umiltà è la condizione più prolifica, al tempo d’oggi più che mai, perché dalla posizione connaturale alla propria condizione umana, si guadagna il miglior rapporto con gli altri, si riesce a dialogare con tutti, si possono correggere i propri inevitabili errori, ci si pone nella giusta posizione per ascoltare, sia gli altri sia se stessi, si può avviare e continuare la ricerca, che è l’attività primaria dell’essere umano e che la venuta dei Magi vuole manifestare, che la traduzione dal greco dell’epifania.

Roberto de Tilla: