Da più di tremila anni, il Decalogo rappresenta il testo di riferimento per l’ebraismo, come lo sarà successivamente per il cristianesimo, e più tardi per l’islam. I comandamenti erano incisi su due tavole di pietra. Avendole spezzate, mosso a sdegno dall’idolatria in cui il popolo era ricaduto nella sua breve assenza, Mosè ne portò sul Sinai altre due, sulle quali “Jahvè scrisse le parole dell’alleanza, le dieci parole“. Secondo la definizione dell’Enciclopedia Italiana per Decalogo si intende la serie di dieci precetti, prevalentemente morali, dati da Dio a Mosè sulla vetta del monte Sinai, all’uscire dall’Egitto. Fatto proprio dal cristianesimo, il decalogo è divenuto il codice morale di gran parte dell’umanità.
Secondo il racconto dell’Esodo, XIX, arrivato il popolo alle falde del Sinai, Mosè salì alla vetta e vi udì da Dio le parole che dovevano consacrare per secoli Israele a una missione e posizione di privilegio: “Se voi ascoltate la mia voce e la mia alleanza, voi sarete mio popolo particolare fra tutti i popoli: perché tutta la terra è mia, ma voi sarete per me un regno di sacerdoti e una nazione santa”. Il Decalogo è il fondamento della fede e, insieme, della legge morale scritta indelebilmente nella coscienza di ogni singolo uomo – l’uomo di ieri, di oggi, di sempre – e nella coscienza collettiva dell’umanità. E a leggerli bene, i comandamenti, e non con i pregiudizi di chi vorrebbe estromettere Dio dal mondo, si capirà come non contengano affatto divieti, imposizioni, costrizioni della libertà personale; ma siano come una guida, l’indicazione di una strada da percorrere, così che l’uomo arrivi ad essere veramente, pienamente, uomo. Come diceva Lutero, che definì il Decalogo “lo specchio in cui vedere ciò di cui hai bisogno, trovare ciò che ti manca e ciò che devi cercare”.
Ma ecco, a portare una novità ancora più rivoluzionaria, l’Incarnazione. Ecco l’irruzione di Dio nella storia umana. Inviando suo figlio, manifesta il suo amore infinito e riconosce a ogni uomo una dignità che nessun altro mai gli darà. E il figlio di Dio, uomo tra gli uomini, disvela il volto del Padre, dà quasi una concretezza fisica alla sua persona. E, questo, con i gesti straordinari che compie, con le parole altrettanto dirompenti che pronuncia. Come il “discorso della montagna”. Il Vangelo di Matteo, come evidenzia papa Francesco, colloca il testo del “Padre nostro” in un punto strategico, al centro del discorso della montagna. Intanto osserviamo la scena: Gesù sale sulla collina presso il lago, si mette a sedere; intorno a sé ha la cerchia dei suoi discepoli più intimi, e poi una grande folla di volti anonimi. È questa assemblea eterogenea che riceve per prima la consegna del “Padre nostro”. La collocazione, come sottolinea Jorge Mario Bergoglio, è molto significativa perché in questo lungo insegnamento, che va sotto il nome di “discorso della montagna”, Gesù condensa gli aspetti fondamentali del suo messaggio. L’esordio è come un arco decorato a festa: le Beatitudini. Gesù incorona di felicità una serie di categorie di persone che nel suo tempo – ma anche nel nostro! – non erano molto considerate. Beati i poveri, i miti, i misericordiosi, le persone umili di cuore… Questa è la rivoluzione del Vangelo. Dove c’è il Vangelo, c’è rivoluzione. Il Vangelo non lascia quieto, ci spinge: è rivoluzionario. Tutte le persone capaci di amore, gli operatori di pace che fino ad allora erano finiti ai margini della storia, sono invece i costruttori del Regno di Dio. È come se Gesù dicesse: avanti voi che portate nel cuore il mistero di un Dio che ha rivelato la sua onnipotenza nell’amore e nel perdono.
Recitando per la prima volta il Padre nostro, Gesù mostra il volto autentico di Dio, ed é il volto di un Padre buono, misericordioso, compassionevole; tanto che da allora l’uomo comincia a chiamarlo per nome, a dargli del tu: “Padre nostro che sei nei cieli…”. Non solo, ma, insegnando quella preghiera, Gesù rompe definitivamente con l’attitudine antica, di tenere lontano l’uomo da Dio, la terra dal cielo. L’annuncio della vita eterna non può essere interpretato come un disinteressarsi del mondo, dei problemi umani. Il Vangelo va vissuto concretamente, sia nella dimensione spirituale sia in quella esistenziale. “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Le prime comunità cristiane recitavano il Padre nostro tre volte al giorno, come rinnovamento della professione di fede. Più tardi, venne impiegato anche per la preparazione del battesimo dei catecumeni. E così, per secoli, la “preghiera del Signore” scandirà i ritmi quotidiani della vita cristiana. Resistendo a tutte le bufere del mondo, e a tutte le divisioni e i contrasti nella Chiesa.