Da inviato dell’Ansa al Concilio, ricordo bene quanto entusiasmo e attesa suscitò la promulgazione da parte di Paolo VI della costituzione pastorale “Gaudium et Spes”, tra i più significativi documenti del Vaticano II. Con la “Gaudium et spes” la Chiesa è solidalmente divenuta “parte” del mondo. Cielo e terra, quindi, non sono più distanti.
Ed ecco Francesco. Ecco un nuovo capovolgimento. Il primo Papa latinoamericano ha ripreso, fintanto ad assolutizzarlo, il metodo induttivo della “Gaudium et Spes”. Si partiva, non più dal “centro”, ma dalle “periferie”; non più dall’Occidente, ma dalla tragica condizione dei poveri, dal Sud del mondo. E, da qui, leggere i “segni dei tempi”. E poi, cercare una soluzione cristiana ai nuovi problemi: come la difesa del creato, come l’esigenza di una fraternità e di una solidarietà universali. La dottrina morale non era più un sistema chiuso, arrivava a toccare temi prima tabù o solo sfiorati.
Secondo Jorge Mario Bergoglio si può ben dire che in “Gaudium et Spes” la Chiesa ha saputo esprimere una comprensione profondamente rinnovata del Vangelo della famiglia, che, attraverso varie tappe, ci ha condotto fino all’intensa stagione sinodale sfociata nell’esortazione apostolica Amoris laetitia. A Roma è in piena attività la cattedra Gaudium et Spes che, per volontà del Pontefice, si colloca bene nell’orizzonte della peculiare missione accademica rivolta al matrimonio e alla famiglia. Un impegno di riflessione e di formazione che rappresenta “una conquista e una promessa” a beneficio di tutta la Chiesa e anche della società civile”.
Le fondamentali realtà dell’umana esistenza, matrimonio e famiglia, vennero messe dai Padri conciliari al primo posto tra i problemi contemporanei particolarmente urgenti. Attraverso la “Gaudium et spes” la Chiesa ha saputo porsi in prima linea di fronte alle nuove sfide pastorali. Per Francesco la straordinaria rilevanza antropologica e sociale che oggi assume l’alleanza dell’uomo e della donna, in ordine all’apertura di un nuovo orizzonte per la convivenza umana nel suo complesso, esalta la sua originaria vocazione a farsi interprete della benedizione di Dio per l’intera creazione. Da qui la necessità di generare luoghi di incontro e dialogo nei quali sperimentare quanto la comunità ecclesiale sia capace di “dare carne e sangue alle parole con cui il Vaticano II ha voluto esprimere il suo sguardo agli uomini del proprio tempo”.
Gli ultimi tre papi sono in qualche modo diversi. Chi guardava di più al cielo, e chi di più alla terra. Chi ha fatto progredire le aperture conciliari, chi meno, e chi invece sta tentando di svilupparle al massimo. Tre Papi diversi, anche perché – finito il monopolio italiano sul papato – provengono da Paesi diversi, da spiritualità diverse, da culture ed esperienze diverse. Ciò può comunque rappresentare un grande arricchimento per la Chiesa universale. “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo – insegna Jorge Mario Bergoglio -. Nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore”.