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Ad Ancona due vie per il Papa che ha cambiato la storia

C'è una indiscutibile continuità nei pontificati, al di là delle ovvie diversità e, più ancora, delle contrapposizioni che non pochi cercano a ogni costo di trovarvi. Ma, proprio per evitare che vincano le paure e i rifiuti, occorre riproporre i tratti salienti della vita e del pontificato di Karol Wojtyla. Le commemorazioni in preparazione ad Ancona contribuiscono a riscoprirne l’eredità.

Cartelli 

L’associazione culturale “Ankon nostra” (in collaborazione con l’arcidiocesi di Ancona-Osimo, il comune di Ancona, l’Autorità di sistema portuale del Mare Adriatico centrale e con il patrocinio della Regione Marche) celebra il centesimo anniversario della nascita di San Giovanni Paolo II con mostre fotografiche sui viaggi pontifici “in terra anconetana” allestite nella chiesa di Santa Maria della Piazza, convegni di studiosi e posizionamento di cartelli commemorativi nel capoluogo marchigiano (Largo San Giovanni Paolo II e Molo Wojtyla). Tra i relatori Marcello Bedeschi, già presidente della fondazione “Giovanni Paolo II per i giovani” e monsignor Renato Boccardo, arcivescovo di Spoleto-Norcia, già responsabile della sezione Giovani del Pontificio Consiglio per i Laici, monsignor Angelo Spina, arcivescovo metropolita di Ancona-Osimo e vicepresidente della Conferenza episcopale marchigiana,  Giancarlo Galeazzi, direttore dell’Ufficio diocesano per la cultura, docente emerito di filosofia all’Istituto teologico marchigiano e presidente onorario della Società filosofica italiana di Ancona e Luca Saracini, direttore generale dell’Associazione Opere Caritative Francescane Onlus e Coordinamento italiano case alloggio.

L’eredità 

Nessuno si era accorto che Giovanni Paolo II già nel 1991 fosse stato colpito dal morbo di Parkinson. O, almeno, il tremore che accusava ad alcune dita della mano sinistra era un sintomo tipico di quella malattia. E del resto, all’inizio, anche lui non aveva dato molta importanza alla cosa, solo più tardi ne avrebbe parlato al suo medico. Ma poi c’era stata l’operazione per il tumore all’intestino. Quindi, oltre all’insorgenza di problemi osteoarticolari, cominciavano ad avvertirsi le conseguenze di quei due colpi di pistola sparati da Ali Ağca. E intanto, il Parkinson aveva ripreso, ma stavolta quasi con ferocia, a devastare quel povero corpo. Perdite di equilibrio, cadute, difficolta a camminare, prima il bastone, poi la sedia a rotelle, un volto che diventava sempre meno espressivo, non rideva piu, infine la tracheotomia, che gli permetteva di respirare, questo si, ma lui non riusciva più a parlare.

Martirio 

“Un martirio, un autentico martirio- spiega a Interris.it il decano dei vaticanisti Gianfranco Svidercoschi, amico e collaboratore di Giovanni Paolo II-.E tuttavia, Karol Wojtyla aveva continuato la sua missione: i viaggi internazionali, lunghissimi, faticosissimi, le udienze generali, le visite alle parrocchie romane, gli incontri quotidiani con personaggi o gruppi venuti da tutto il mondo. Ma come faceva a sopportare quei dolori spesso terribili?” Aveva imparato a dare spazio alla sofferenza, e perciò a convivere con il dolore, con la malattia. Senza neppure nascondere i suoi mali, come aveva fatto all’Angelus di quel luglio del 1992, confidando ai fedeli che la sera si sarebbe ricoverato al Gemelli per accertamenti. E ne parlava non certo per esibizionismo, ma sia per dimostrare il valore salvifico, il posto che ha la sofferenza nella vita di ogni giorno; e sia per rivendicare il valore e il ruolo di ogni persona, anche malata o minorata, nella società. C’erano giornali che criticavano impietosamente quella “ostensione” (come la chiamavano) della sofferenza.

Etichette fallaci

Tentarono di volta in volta di appiccicargli le etichette più diverse. Ma Giovanni Paolo II – parlando di pace, di giustizia e in difesa della vita – non fece altro che rivendicare la verità di Dio. E, per ciò stesso, la verità sull’uomo. Il 9 novembre 2019 è stato il trentesimo anniversario  della caduta del Muro, della fine del comunismo. Era una svolta epocale, un punto di non ritorno nella storia della famiglia umana. E papa Wojtyla, nella sua enciclica Centesimus Annus, propose un nuovo modello di democrazia, fondato essenzialmente sul riconoscimento dei diritti umani. In modo così da ristabilire il primato della persona sulle scelte politiche ed economiche, il primato dell’etica sulla tecnica, la superiorità dello spirito sulla materia. “Naturalmente, si trattava di una società ideale, tutta da costruire- evidenzia Svidercoschi-.Ma già quel progetto spaventò i nuovi burocrati, proprio perché andava contro i loro interessi, le loro strategie. E così, dopo soli cinquant’anni, si risentì nella terra europea, nei Balcani, il rombo spaventoso dei cannoni”.

Emergenza

In breve, a fronte di un Papa che aveva il dono dell’utopia, della visione, e sapeva guardare oltre il contingente, c’erano uomini che avevano ancora nelle loro teste, nei loro corpi, la lunga stagione delle dittature, delle schiavitù, e pensavano di riscattarsi usandone gli stessi metodi. Ancora una volta, perciò, le paure e i rifiuti del “nuovo”, come lo proponeva Giovanni Paolo II, non significarono affatto il fallimento di quel progetto, e dell’eredità che ne è rimasta, ma, al contrario, ne confermarono il valore, anche per il futuro. E infatti, sottolinea Svidercoschi, Benedetto XVI e ora papa Francesco, ciascuno con la propria sensibilità evangelica e in rapporto alle nuove situazioni e alle nuove emergenze, hanno seguito quella via.

 

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