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Trump, il G7 rinviato e la strana idea del vertice a 11

Il presidente americano, dopo aver rinviato il G7 di Washington, vorrebbe allargare la riunione anche a Corea del Sud, Australia e India. E probabilmente anche alla Russia

La defezione di Angela Merkel ha convinto Donald Trump a darci un taglio. Niente G7 a Washington, non ora almeno, ma un’eclettica capacità di adeguamento alle circostanze che stavolta va riconosciuta. Ufficialmente rinviato per l’emergenza coronavirus, più probabilmente una decisione dovuta alle reticenze tedesche sull’andamento del contenzioso con la Cina, che avrebbero spinto la cancelliera a dire di no alla riunione, il presidente americano ha rilanciato proponendo un clamoroso allargamento del consesso dei Paesi industrializzati a una riunione a 10. O anche a 11, qualora si decidesse di estendere l’invito anche alla Russia, ipotesi che sarebbe già sul tavolo del Tycoon.

G7

G7 a 11, Russia interessata

Una mossa a sorpresa, da un lato perché l’idea non sarebbe solo di aprire il G7 a ulteriori ospiti, prassi già consolidata negli anni, ma di ammettere alla riunione Paesi dalle economie ben avviate, come l’Australia, la Corea del Sud e l’India. E, perché no, anche la Russia di Vladimir Putin, in una fase in cui l’emergenza collettiva impone una riflessione sugli standard economici globali, quasi tutti rivisti al ribasso dopo il lockdown. E l’idea di tornare a far parte del tavolo delle potenze, dopo la sospensione del 2014 (causa annessione della Crimea), sembra aver prudentemente stuzzicato il Cremlino: “Il presidente Vladimir Putin è un sostenitore del dialogo in tutte le direzioni – ha detto il portavoce Dimitri Peskov -, ma in questo caso, per rispondere a tali iniziative, è necessario ottenere informazioni di cui finora purtroppo non disponiamo”.

Strategia anti-Cina

Una riunione che, in qualche modo, assume i connotati di una strategia anti-Cina, deliberatamente esclusa da un vertice che, con l’allargamento, vedrebbe la partecipazione di Paesi al momento contrari alla politica espansionistica di Pechino, anche in virtù della questione Hong Kong. Il che, di fatto, ridurrebbe più ai Paesi europei (Francia e Germania, ma anche l’Italia, vista la posizione più netta della Gran Bretagna) la decisione sulla posizione da assumere.

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