“Almeno” è l’avverbio che ha cambiato la quota di ricorso alla Didattica a distanza nel mondo della scuola, nel nuovo Dpcm. Se nella bozza che circolava ieri infatti si leggeva Dad “fino” al 75%, nel testo definitivo compare invece “almeno al 75%” alle superiori. Si lascia intendere quindi che la quota potrà essere superiore. Un compromesso che consente ai governatori, che ieri chiedevano a gran voce al governo di arrivare fino al 100%, di poter ampliare il ricorso alla Dad. Alla ministra dell’Istruzione Lucia Azzolina si chiede di resistere, salvaguardando gli studenti più grandi dal rimanere sempre a casa. Così si ottiene che almeno i più piccoli possano continuare ad andare in classe.
L’ira dei presidi
Furibondi sono invece i dirigenti d’istituto che, per bocca di Antonello Giannelli, presidente dell’Anp (Associazione nazionale presidi), attaccano: “Così si lede l’autonomia della scuola”. Gli istituti superiori avranno un giorno di tempo, ovvero lunedì, per adeguare la nuova percentuale di didattica a distanza. E non è escluso che i singoli presidi possano fare una scelta di campo ben chiara. Dedicare l’intero 25% della didattica in presenza alle classi prime e quinte. Dunque a chi si è appena affacciato nelle superiori e deve essere seguito con più attenzione e chi deve sostenere la maturità.
Dove è confermata la didattica in presenza
Resta intanto invariata la didattica al primo ciclo, dalle materne alle medie, che sarà totalmente in presenza. Vengono modulati ulteriormente gli orari di ingresso e di uscita degli alunni, anche attraverso l’eventuale utilizzo di turni pomeridiani e disponendo che l’ingresso non avvenga in ogni caso prima delle 9, come avviene oggi. A tenere banco sono ovviamente le scuole superiori: gli studenti, restando a casa, “alleggeriranno il trasporto pubblico”, ha detto il premier illustrando il Dpcm. Ma Giannelli rivendica il ruolo e il decisionismo dei presidi, oltre alle diverse situazioni a seconda dei territori: “Non si può imporre alle scuole qualcosa che sono i dirigenti di istituto a dover decidere. L’autonomia scolastica è in pieno vigore ed è tutelata dalla Costituzione, e serve a far sì che ogni scuola offra un’offerta formativa calibrata sulle diverse esigenze del territorio. Imporre vincoli nazionali e regionali contravviene al principio legale – aggiunge – perché quello che si decide in una grande città non va bene per i piccoli centri, le periferie o i centri rurali. Pensiamo poi ai ragazzi che frequentano istituti tecnici: il 50% di loro frequenta laboratori e se si dovesse avverare una didattica superiore al 75% il contenuto del loro diploma si svilirà”, aggiunge Giannelli che ribadisce per l’ennesima volta: “La scuola, anche secondo l’Iss, non è un veicolo di diffusione del contagio. I trasporti non ce la fanno? Compriamo più bus. Le Asl non ce la fanno a fare tracciamenti? Rinforziamole. Le scuole aperte, ricordo, sono garanzia di monitoraggio”.
Il rischio di contagio nelle scuole secondo l’Iss
La stessa ministra ieri era tornata a difendere la scuola e il rischio contagi al suo interno: “Il monitoraggio settimanale dell’Istituto Superiore di Sanità dice che la trasmissione del virus dentro le scuole è ancora limitata. I focolai a scuola nella settimana dal 12 al 18 ottobre sono solo il 3,5% di tutti i nuovi focolai che si registrano nel Paese. Ma il dato più sorprendente è un altro: la settimana precedente (5-11 ottobre) erano il 3,8%. Quindi il numero di focolai dentro le scuole è addirittura sceso, in proporzione al totale”. E aveva ricordato: “L’Iss conferma che dentro le scuole il rischio di trasmissione del virus continua ad essere molto molto basso. É tuttavia chiaro che le attività extra e peri scolastiche possono costituire un innesco di catene di trasmissione laddove non vengano rispettate le misure di misure di prevenzione previste”.