Il Covid accelera le diseguaglianze di genere, che cominciano sin dalla prima infanzia: in Italia circa 1 milione e 140mila ragazze tra i 15 e i 29 anni rischiano, entro la fine dell’anno, di ritrovarsi nella condizione di non studiare, non lavorare e non essere inserite in alcun percorso di formazione (i cosiddetti “Neet”), rinunciando così ad aspirazioni e a progetti per il proprio futuro.
L’Italia è la maglia nera europea per giovani tra i 20 e i 24 anni che non lavorano, non studiano e non si formano, dall’acronimo inglese Not (engaged) in Education, Employment or Training: Neet.
L’atlante dell’infanzia a rischio 2020
Un limbo in cui già oggi è intrappolata 1 ragazza su 4, con picchi che si avvicinano al 40% in Sicilia e in Calabria, e che vede percentuali più alte per le ragazze anche nei territori più virtuosi, come il Trentino Alto Adige, dove a fronte del 7,7% dei ragazzi, le ragazze Neet sono quasi il doppio (14,6%).
Sono alcuni dei dati che emergono dal nuovo Atlante dell’infanzia a rischio “Con gli occhi delle bambine”, diffuso oggi, a pochi giorni dalla Giornata mondiale dell’infanzia e dell’adolescenza – che si celebra ogni 20 novembre – da Save the Children.
Divari di genere che si ripercuotono anche sul fronte occupazionale, con un tasso di mancata occupazione tra le 15-34enni che raggiunge il 33% contro il 27,2% dei giovani maschi, un dato comunque grave.
L’istruzione come fattore protettivo
L’istruzione resta un fattore “protettivo” per il futuro delle ragazze, ma anche le giovani che conseguono la laurea stanno pagando cara la crisi: tra le neolaureate, che hanno conseguito il titolo di primo livello nei primi sei mesi del 2019, solo il 62,4% ha trovato lavoro, con un calo di 10 punti percentuali rispetto al 2019, mentre per i laureati maschi – pur penalizzati – il calo è di 8 punti (dal 77,2% al 69,1%), con retribuzioni comunque superiori del 19% rispetto alle neolaureate.
Povertà assoluta
L’Italia si è fatta trovare “impreparata” davanti agli effetti del Covid-19 sull’infanzia in generale: già prima della pandemia 1 minore su 9 viveva in povertà assoluta; asili nido solo per il 13,2% dei bambini; dispersione scolastica al 13,5%”, si legge nell’Atlante dell’infanzia a rischio.
Già prima della crisi, quindi, 1 milione e 137mila minori (l’11,4% del totale) si trovavano in condizioni di povertà assoluta, senza avere cioè lo stretto necessario per condurre una vita dignitosa. Un dato in calo rispetto al 12,6% del 2018, ma che tuttavia rischia di subire una nuova impennata proprio per gli effetti del Covid-19, “se non saranno messi subito in campo interventi organici per prevenire una crescita esponenziale come quella avvenuta a seguito della crisi economica del 2008, quando la percentuale di povertà assoluta minorile è quadruplicata in un decennio (era il 3,1% nel 2007)”, rileva il rapporto.
Povertà relativa
Più di 1 minore su 5 (il 22%) vive in condizioni di povertà relativa, con la Calabria (42,4%) e la Sicilia (40,1%) ai primi posti di questa triste classifica, mentre Trentino Alto Adige (8,3%) e Toscana (9,8%) si rivelano le regioni più virtuose in tal senso.
“Già prima dell’emergenza Covid, l’ascensore sociale del Paese era fermo – denuncia Daniela Fatarella, direttrice generale di Save the Children Italia -: in Italia si è rotto il meccanismo che permetteva di migliorare la propria condizione, di costruirsi un futuro migliore. Un Paese che aveva già dimostrato di aver messo l’infanzia agli ultimi posti tra le proprie priorità e che di fronte a una sfida sanitaria e socioeconomica stenta a cambiare strada”.
Nascite in netto calo
L’Italia “sta perdendo il suo capitale umano più importante: i bambini”, aggiunge Fatarella. “Negli ultimi dieci anni abbiamo perso oltre 385mila minori, che oggi rappresentano il 16% del totale della popolazione mentre l’incidenza degli 0-14enni è la più bassa tra i Paesi dell’Ue (13,2% contro il 20,5% della capofila Irlanda)”.
Sono due province sarde – Oristano e Sud Sardegna – quelle con la percentuale più bassa in Italia di minori sul totale della popolazione (rispettivamente 12,5% e 12,9%), seguite da Ferrara al 13,2%. Sul fronte opposto, tra le province più giovani, troviamo Bolzano al 19%, Napoli al 18,8% e Caserta al 18,5%.
Solo nel 2019 il nostro Paese, si legge nell’Atlante “Con gli occhi delle bambine”, con poco più di 420mila nascite, ha fatto registrare una diminuzione di oltre 19mila nati rispetto all’anno precedente (-4,5%) e a fine 2020, nell’anno della pandemia, secondo le ultime previsioni dell’Istat potrebbe conoscere una ulteriore riduzione di 12mila unità, portando le nuove nascite a quota 408mila a fine anno e a 393mila nel 2021.
A ridurre il brusco calo, solo l’incidenza dei minori con cittadinanza straniera, che oggi sono l’11% del totale, con Prato (28,4%), Piacenza (22,2%), Parma (19,5), Milano (19,2%) e Lodi (18,9%) le province che detengono le percentuali maggiori. “Un esercito di bambine e bambini spesso nati e cresciuti in Italia, che reclamano i loro diritti di cittadinanza”, auspica Save the Children.