Non credo che certi politici si preoccupino delle leggi, ben sapendo di potersene prender gioco. Proprio quelli che strepitano per la pagliuzza nell’occhio altrui, non si vergognano della trave che sanno perfettamente ingombrare il proprio. L’immunità parlamentare e l’ignavia di chi dovrebbe autorizzare a procedere rendono intoccabile chi si prende beffa dei cittadini che le norme devono rispettarle perché proprio nei confronti dei più deboli la certezza della pena è sancita inesorabilmente. I medesimi personaggi non temono la propria coscienza, ammesso mai ne abbiano avuta una. Son talmente presi dalla parte che son chiamati a recitare, da ingannare pure se stessi in un progressivo auto convincimento di onnipotenza.
Oltre due secoli fa, il 2 dicembre del 1804, a Parigi ci fu una anticipazione di certi atteggiamenti. Quel giorno, nella Chiesa di Nôtre Dame, Napoleone Bonaparte arriva ad autoincoronarsi Imperatore. All’epoca non c’erano l’Istituto Luce (arriverà nel 1924) e ancor meno le radio e le televisioni (figuriamoci quelle appiattite ai voleri dei potenti e in grado persino di anticiparne i desideri). A quei tempi non esistevano né Twitter né Instagram, non era ancora nata la “Bestia” e il solerte Luca Morisi (odierno discusso guru della comunicazione) era distante generazioni e generazioni. Napoleone si rivolse così a Jeacques-Louis David, uno dei più grandi pittori francesi di allora, che realizzò l’immenso quadro che ha fatto arrivare fino ad oggi il ricordo nitido della scena della proclamazione.
Ai nostri giorni non sono mancate plateali esibizioni di potere e di presunto carisma. Con un dettaglio non trascurabile, anzi catalizzatore: l’ostentazione di simboli religiosi, un rituale fuori luogo anche se quei gesti teatrali fossero poi stati seguiti da comportamenti e iniziative allineate a quello che il crocifisso e il rosario dovrebbero ispirare. La maliziosa esibizione di oggetti iconici aveva la medesima funzione di una frase o una foto “acchiappa-like”, anzi quello sfoggio aveva solo il bieco scopo di ammaliare futuri seguaci nel più pagano dei contesti. La croce e corona di grani per recitare preghiere sono stati trasformati in una sorta di “bollino blu” generalmente applicato a banane selezionate. L’appiccicare quell’etichetta su condotte irrispettose dei più basilari principi di umanità, a cominciare dall’accoglienza di chi è in sovrumana difficoltà, è una “frode in commercio” o quanto meno un uso illecito di “marchi registrati” 473, 474 e 517 del codice penale…
Tralasciando fin troppo scontati proverbi che invitano a scherzare con i fanti e a lasciar stare i santi, chi si è reso responsabile di certi show ha mancato di rispetto a credenti, atei e agnostici. Se chi non è devoto non ha sopportato l’inoculazione di certi ingredienti in un ambito laico per eccellenza, chi ha fede non ha tollerato la falsità di una simile interpretazione di sentimenti traditi quotidianamente nei fatti. Se Dio avesse un account social se la caverebbe con un tanto laconico quanto efficace “not in my name”. E a retwittarlo sarebbero tutti. Lo farebbero volentieri anche quelli che non sono suoi “follower”.