Quasi 20 giorni di crisi aperta, scenari mutevoli e una trattativa in corso dalla quale potrebbe dipendere il futuro a breve termine dalla politica italiana: una situazione che il giro di Consultazioni proverà a definire, per un governo che, al momento, viaggia ancora fra ipotesi e nuove intese. La crisi innescata da Matteo Salvini ha infiammato l'estate politica del nostro Paese, contribuendo a disegnare scenari fino a poco tempo fa del tutto inediti, chiudendo di fatto un'esperienza di governo basata su un contratto sottoscritto da due forze di maggioranza per far posto a un nebuloso quadro di possibilità che, per la prima volta, ha visto in piedi un dialogo fra Movimento 5 stelle (ex contraente del governo gialloverde) e Partito democratico. In Terris ha provato a tracciare un quadro d'insieme con l'aiuto del professor Paolo Feltrin, politologo e docente dell'Università di Trieste.
Professor Feltrin, la crisi di agosto sembra aver preso alla sprovvista la politica italiana, ritrovatasi improvvisamente a fronteggiare lo scollamento di un esecutivo e di tutti i suoi propositi di cambiamento. Era questione di tempo oppure si è trattato di una precisa scelta strategica?
“Bisogna cercare di capire bene le ragioni di Salvini. Una delle linee di commento ai fatti di queste settimane è che abbia sbagliato tutto ma la mia idea è molto diversa: Salvini era obbligato a fare la crisi, non aveva alternative e volutamente ha aspettato agosto per farla. A settembre i nodi sarebbero venuti al pettine: dopo un anno e mezzo di governo era obbligato a uscire allo scoperto e prendere una decisione sull’autonomia. Propendendo radicalmente per il sì, avrebbe perso il consenso al Sud, facendo così saltare la sua idea di partito nazionale; con il no avrebbe perso i voti al Nord”.
C'erano però anche altre incombenze…
“Doveva realizzare la misura di riduzione delle tasse – curioso che nel suo discorso al Senato abbia glissato sul tema delle autonomie, forse perché sa che è il tema più divisivo -, la cosiddetta riforma fiscale, ridurre la tassazione con almeno 50 miliardi di intervento. Terzo, doveva nominare il commissario europeo e questo è un altro elemento, a mio avviso che mette bene in luce le contraddizioni di Salvini”.
In che senso?
“Verrebbe da chiedersi perché non lo ha nominato prima, visto che erano due mesi che Conte e i Cinque stelle gli chiedevano di indicarlo. La mia risposta è perché immediatamente sarebbe entrata in contraddizione la sua linea sull’Europa: tutte le decisioni in Commissione europea vengono prese all’unanimità e quindi non poteva mettere sotto attacco un organismo in cui era presente un suo rappresentante. Tutti i punti fin qui elencati, a settembre avrebbero significato il disastro politico di Salvini. Da qui la scommessa: o si vota subito oppure si va all’opposizione, considerando migliore quest’ultima ipotesi piuttosto che restare al governo. Salvini ha fatto un calcolo strategico: o si va alle elezioni e poi si ragiona, oppure all’opposizione, riuscendo a non perderci in ogni caso. Se c’è uno che in questo momento può dormire sonni tranquilli è Salvini, proprio per questo duplice punto di forza: la possibilità di un’opposizione feroce e, dall’altra, la carta del Centrodestra che, non a caso, si è immediatamente ricompattato. A mio avviso, i giudizi negativi dati su Salvini paiono quantomeno poco analitici”.
Negli ultimi giorni, ma già dopo il suo discorso in Senato, era salita notevolmente l'ipotesi Conte-bis, peraltro come uomo di punta dei Cinque stelle. Si andasse a elezioni, lo scontro fra il premier uscente e il leader leghista potrebbe risolversi alle urne. In questo caso la scelta di Salvini apparirebbe un azzardo per la possibilità dei numeri mancanti?
“Sì, ma bisogna tener presente la legge elettorale: con i numeri attuali i Cinque stelle non potrebbero raggiungere una soglia di maggioranza, a meno che non vada in porto l’alleanza con il Pd. Invece, Salvini con il Centrodestra può superare la percentuale necessaria per avere la maggioranza dei seggi sia alla Camera che al Senato. Anche ammesso che perda 3-4 punti, il Cdx resterebbe comunque attorno al 46-47%, con la Lega attore principale (30%). Al momento, la soglia di maggioranza è inarrivabile sia per i Cinque stelle che per il Pd e Salvini sa che questa quota, si voti fra un mese o anche fra un anno, difficilmente potrà subire grosse variazioni”.
Una posizione sufficiente a tenere a bada anche qualche contrarietà interna?
“Qualche malumore c'era all’interno della Lega, basti pensare per esempio alla lettera di Zaia e Fontana, un fatto politico riguardante le due regioni italiane più importanti di area leghista che scrivono al Corriere contestando l’autonomia che va a rilento in un governo in cui il vicepremier è il capo della Lega. Ma anche qui ha assunto una posizione di forza, restando sul piano più radicale, il che lo mette al riparo da possibili mal di pancia interni”.
Lo stallo portato dalle trattative fra Pd e M5s potrebbe aver accentuato di nuovo qualche malcontento?
“No, perché andando all’opposizione, Salvini può sparare a zero sul fatto che l’autonomia non viene fatta. E in quella posizione potrebbe rialzare anche altre bandiere, dalla riduzione delle tasse all'Europa matrigna”.
Restando agli altri attori in campo, dall'inedita trattativa Pd-M5s sembrerebbe davvero venir fuori una via d'uscita dalla crisi senza ricorrere al voto…
“Il 'dramma' riguardava il Partito democratico. Gli unici, al momento, ad avere davvero interesse a continuare l’esperienza di governo sono i Cinque stelle, perché hanno vinto le elezioni del 2018 e avevano assunto l’impegno di governare, avendo preso una maggioranza relativa ma piuttosto solida. L’azione di governo non è stata particolarmente efficace e il M5s sa benissimo che nel momento in cui si tornerà al voto, la loro rappresentanza parlamentare verrebbe più che dimezzata. Con quel risultato, i pentastellati avevano soprattutto al Sud fatto grossi riscontri nei collegi uninominali, posizionandosi ovunque sopra il 34-35%. Ma basta scendere di qualche punto percentuale e questi collegi cadrebbero tutti. Quindi, anche arrivando al 25%, i seggi parlamentari sarebbero diminuiti di due terzi. Per i Cinque stelle, la via obbligatoria era rimanere al governo e dimostrare di essere capaci di saper fare qualcosa. Questo qualcosa ha al suo interno dei mantra molto popolari, come la riduzione dei parlamentari”.
Questo poneva il Nazareno in una posizione ambigua…
“A questo punto è chiaro che il pallino era in mano al Partito democratico, il quale si trovava a dover decidere se andare al governo con i Cinque stelle, ripetendo l’esperienza del 2013 – essere andato male alle elezioni e dover poi governare con esecutivi non legittimati dall’elettorato – che non ha portato molto fortuna, oppure andare a votare sapendo che al 99% Salvini governerà per cinque anni, con alle spalle una coalizione di Centrodestra abbastanza omogenea. Questo era il dilemma del Pd”.
Come si è usciti dall'impasse?
“Il Pd ha dato disponibilità a fare un tentativo ma non per un governo di breve periodo, perché vorrebbe dire perdere ancora voti. Dev’essere un governo di legislatura, che duri almeno tre anni, in cui riuscire a fare cose che portino consenso elettorale”.
Ragionando per ipotesi, quali sarebbero gli obiettivi di un governo di legislatura?
“Potrebbe essere un governo con l’appoggio di tutta Europa in funzione anti-Lega. Si potrebbe così immaginare un governo di legislatura in cui l’Europa concede all’Italia quello che mai ha concesso in questi anni: una liquidità sufficiente per un rilancio davvero importante per l’economia, per esempio da 0,5 a 1 punto in più di deficit annuo, il che significa molto più dei 50 miliardi di Salvini; potrebbe poi concedere un negoziato su Dublino, facendo una politica sugli immigrati vicina a quello che chiede Salvini ma non imposta da lui, legittimata da una posizione europea; investimenti infrastrutturali, positivi soprattutto per il Sud, e, infine, l’autonomia, senza smontare peraltro provvedimenti come quota cento in caso di una riforma strutturale delle pensioni. In sostanza, l’agenda di Salvini, accettandone in larga parte i contenuti ma inquadrati in una cornice europea”.
Un programma interessante. Non fattibile perché…?
“Per due ragioni. Innanzitutto nessuno in Europa regala niente per niente, c’è un problema europeo di verifica delle disponibilità. In secondo luogo, ci sono i Cinque stelle: un programma simile sarebbe più fattibile paradossalmente con la Lega, vista la loro posizione sulle grandi opere. Questo programma, per principio, sarebbe più simile a quello del Centrodestra. Terzo, ma non meno importante, in caso questo fosse realizzato il premio andrebbe a Zingaretti ma è evidente che il Pd è spaccato e resta l’incognita di Renzi che, si concretizzasse uno scenario come quello descritto, inizierebbe un’opposizione interna”.