L'annuncio è arrivato dal premier Giuseppe Conte: ci sarà un piano per il rilancio del Mezzogiorno con investimenti destinati al sud. “Sono profondamente convinto che è possibile invertire l'impoverimento di questa area dell'Italia- dichiara il presidente del Consiglio in visita a Foggia-. Stiamo definendo un piano di intervento, che io ho chiamato straordinario, che non si esaurisca in uno o due anni. Lo dobbiamo soprattutto ai tanti giovani costretti ad abbandonare la loro terra. Se riparte il Sud, riparte l'Italia. Con l'incremento della domanda nel Mezzogiorno i benefici si avranno soprattutto per le industrie del Nord”. E aggiunge il premier: “Tra il 2008 e il 2018 l'Italia ha sperimentato un doppio divario di crescita esterno nei confronti della media Europea, e un divario interno fra le diverse aree del paese e mentre il Pil dell'Ue è di circa 10 punti percentuali al di sopra dei livelli del 2008, il Pil italiano deve recuperare ancora oltre 4 punti percentuali rispetto ai livelli di dieci anni”.
L’aiuto di Bankitalia
Evidenzia Conte, “se osserviamo il dato italiano scopriamo che il Pil del Mezzogiorno è diminuito di dieci punti percentuali rispetto ai livelli del 2008”. Inoltre “la domanda interna ne ha risentito: i consumi delle famiglie sono calati di ben 9 punti percentuali al Sud negli ultimi 10 anni e sono diminuiti notevolmente gli investimenti delle imprese in macchinari, attrezzature e mezzi di trasporto”. Perciò “dobbiamo fare di tutto, nell'ambito delle competenze del governo, per stimolare e favorire il consolidamento delle imprese bancarie per garantire il potenziamento dell'offerta di finanziamento e sostegno finanziario, economico all'intero sistema produttivo del Mezzogiorno: ci stiamo lavorando e confidiamo di qui a poco, con l'aiuto di Bankitalia, di poter tornare a offrire una soluzione in questa direzione”, dichiara Conte all'inaugurazione di Valoridicarta SpA allo stabilimento foggiano del Poligrafico e Zecca dello Stato.
Aumento dell’Iva
Un sistema creditizio efficiente, concorda il direttore generale della Banca d’Italia, Fabio Panetta, è fondamentale per il Mezzogiornodove l'accesso al mercato creditizio delle imprese è meno agevole che nelle altre aree del Paese e le aziende dipendono molto dalle banche. Ma, osserva Panetta, “se non riusciremo a portare il Mezzogiorno su un sentiero di crescita robusto, duraturo non ci potrà essere vero progresso per l'Italia» spiega il dg che indica due misure per aumentare il Pil e frenare l'emorragia di giovani senza lavoro: taglio del costo del lavoro e investimenti, anche pubblici”. E il premier Conte assicura: “Stiamo lavorando nella definizione della prossima manovra economica per sterilizzare gli aumenti dell'Iva previsti dalle clausole di salvaguardia, nella consapevolezza che un aumento delle imposte indirette avrebbe un effetto negativo sui consumi e un impatto particolarmente dannoso nel Mezzogiorno, dove i redditi sono strutturalmente più bassi rispetto ad altre aree del paese”.
Il monito di Salvini
Secondo il leader della Lega, Matteo Salvini ''oggi la ricetta moderna, concreta, efficiente e valida per far crescere tutto il Paese si chiama autonomia, per premiare il merito e punire lo spreco e l’incapacità di pessimi politici”. Occorre , infatti, “ridurre le distanze fra Nord e Sud, distanze che una gestione centralista e assistenzialista hanno purtroppo aumentato”. Per Salvini “sentire parlare di Cassa del Mezzogiorno fa venire i brividi, soprattutto pensando ai disastri e agli sprechi del passato, ai danni dei cittadini del Sud e del Nord insieme”. E chiarisce: “rispetto a vent’anni fa il potere si è spostato in gran parte a Bruxelles, Berlino e Parigi, per cui l’Italia vince tutta insieme. In queste settimane è chiaro che all’estero qualcuno ha lavorato per riportare l’Italia in uno stato di sudditanza, e con questo governo sperano che sia ricominciata la pacchia. Guardate gli sbarchi che ripartono, siamo alla follia! Ma, se credono che gli italiani resteranno a guardare, si sbagliano e il 19 ottobre se ne accorgeranno''.
In 20 anni crescita crollata nel meridione
Negli ultimi 20 anni la ricchezza del nostro Paese è cresciuta mediamente dello 0,2 per cento ogni anno, rileva la Cgia, secondo cui si tratta di “un dato molto preoccupante” che è riconducibile, in particolar modo, agli effetti negativi provocati dalla grande crisi iniziata nel 2008. “Nonostante sia trascorso oltre un decennio da questo evento – sottolinea la Cgia – assieme alla Grecia siamo l'unico Paese dell'area dell'euro a non aver ancora recuperato la situazione ante-crisi (2007). Rispetto a 12 anni fa, infatti, dobbiamo “riconquistare” ancora 4,2 punti percentuali di Pil, ma anche 19,2 punti di investimenti, 5,9 punti di reddito disponibile delle famiglie e 1,4 punti percentuali di consumi delle famiglie”. Queste difficoltà continuano a perdurare, nonostante la platea degli addetti sia aumentata: sempre in questa ultima dozzina di anni, infatti, gli occupati sono cresciuti dell'1,6 per cento (abbiamo superato la soglia di 23 milioni di lavoratori). E nonostante questo aspetto positivo, il monte orario e il livello medio delle retribuzioni sono diminuite, a causa di un deciso incremento della precarietà, mentre la disoccupazione è aumentata dell'81 per cento (il tasso medio annuo era al 6 e ora si aggira attorno al 10 per cento). Con meno soldi a disposizione, dobbiamo ancora recuperare 5,9 punti di reddito disponibile delle famiglie e 1,4 punti di consumi. Dall'analisi di questi indicatori, infine, l'unico segnale veramente positivo giunge dalle esportazioni: rispetto al 2007 sono salite del 17,5 per cento, interessando, principalmente, le regioni del Centronord.
Trend allarmante
Il coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo commenta all’Agi che l'andamento medio della ricchezza prodotta nel nostro paese risente delle forti differenze esistenti tra Nord e Sud. Negli ultimi 20 anni, ad esempio, il settentrione è cresciuto del 7,5 per cento, il Mezzogiorno, invece, è crollato di 6 punti percentuali. Sempre in questo arco temporale, la crescita media annua registrata nel settentrione è stata dello 0,4 per cento, pari al doppio del risultato medio nazionale. Nel meridione, invece, il Pil medio annuo ha subito una contrazione dello 0,3 per cento. Le previsioni non lasciano presagire nulla di buono. Come ha segnalato nei giorni scorsi anche l'Ocse, sia nel 2019 che nel 2020 la crescita del Pil italiano sarà dello zero virgola. Un trend condizionato da una situazione economica mondiale molto difficile che sta diffondendo segnali di incertezza e di sfiducia in tutta l'area dell'euro che, comunque, dal 2000 è cresciuta del 30 per cento; 7 volte in più dell'incremento registrato dall'Italia.
Retribuzioni e consumi
Secondo la Cgia, bassa produttività del sistema paese, deficit infrastrutturale, troppe tasse e una burocrazia ottusa ed eccessiva sono le principali cause di questo differenziale con i nostri principali partner economici. Se, però, sempre in questo arco temporale analizziamo l'andamento dei nostri conti pubblici, il rigore non è mai venuto meno. “Negli ultimi 18 anni – dichiara all’Agi il segretario della Cgia, Renato Mason – solo in un anno, il 2009, il saldo primario, dato dalla differenza tra le entrate totali e la spesa pubblica totale al netto degli interessi sul debito pubblico, è stato negativo. In tutti gli altri anni, invece, è stato di segno positivo e, pertanto, le uscite sono state inferiori alle entrate. A ulteriore dimostrazione che dall'avvento della moneta unica, l'Italia ha mantenuto l'impegno di risanare i propri conti pubblici, nonostante gli effetti della crisi economica siano stati maggiormente negativi da noi che altrove”. Il tema degli investimenti rimane centrale per delineare qualsiasi politica di sviluppo economico. Senza investimenti non si creano posti di lavoro stabili e duraturi in grado di migliorare la produttività del sistema e, conseguentemente, di far crescere il livello delle retribuzioni medie e dei consumi. Il crollo degli investimenti avvenuto in questi ultimi anni è dovuto alla crisi, ma anche ai vincoli sull'indebitamento netto che ci sono stati imposti da Bruxelles. Fino ad ora gli effetti dell'iniziativa impresa 4.0 hanno interessato quasi esclusivamente le imprese di media e grande dimensione. Si deve pensare anche alle micro imprese e a quelle artigiane che intraprendono il percorso di trasformazione digitale con il medesimo interesse comunicativo, le stesse corsie preferenziali burocratiche e le medesime risorse speciali attribuite alle start-up e piccole e medie imprese tecnologiche.