Siamo in un vicolo cieco per il problema combinato delle difficoltà economiche e di quelle politiche. La difficoltà economica sta nel fatto che la compagnia di bandiera ex monopolista ha perso terreno nella concorrenza con le compagnie low cost. Per competere con queste sarebbe stato necessario un buon piano industriale che quasi sempre implica una ristrutturazione e un dimagrimento del personale accompagnato da tutti gli scivoli ed ammortizzatori del caso (fisiologico in tutte le storie di passaggio dal monopolio alla concorrenza) ma su questo c’è sempre stato il veto politico. Si tratta di un’ipocrisia perché quando fallisce una piccola impresa il fatto non fa notizia e il problema politico non si pone. Le imprese molto grandi invece sono “troppo grandi per fallire” visto che il fatto fa notizia e ha impatto politico. Il combinato disposto di questi due problemi ha impedito di cogliere occasioni come l’offerta di Lufthansa di qualche anno fa con una richiesta di esuberi tutto sommato limitata. Altre avventure come quella di Ethiad sono andate male.
Quello che rischia di accadere è mascherare un’inefficienza non risolta dietro una nazionalizzazione che non risolve il problema delle perdite in bilancio pubblico. Ci vorrebbe coraggio di trovare una soluzione di mercato, anche dolorosa, compensando i “perdenti” in modo anche generoso. Si calcola che negli ultimi anni i soldi persi dal contribuente per coprire le perdite di Alitalia sono pari ad una buonuscita di 310mila euro per ciascun dipendente. La soluzione dolorosa di mercato con scivoli e ammortizzatori per gli esuberi costa meno che ostinarsi a tenere tutti a bordo senza un piano chiaro e preciso.
Anche da un punto di vista etico far finta di niente e mettere la cenere delle perdite sotto il tappeto vuol dire togliere risorse preziose allo stato che servono per fornire beni e servizi pubblici essenziali (sanità, istruzione, assistenza sociale). Sono storie molto diverse ma il dato comune dell’impresa molto grande e dei vincoli politici alle scelte è lo stesso in entrambe le vicende. In questo caso pesa l’incertezza di togliere e mettere lo scudo fiscale (che conferma quanto affermano spesso gli investitori esteri dell’Italia, grande paese ma con un enorme “rischio di incertezza legale”), il non accettare la possibilità di esuberi e forse di aver scelto il cavallo sbagliato. Nello specifico dell’Ilva lo stato dovrebbe accettare gli esuberi ed assumerli investendo nel piano delle bonifiche. Gli attuali amministratori non devono inoltre pagare per colpe del passato. Sono responsabili degli effetti delle attuali emissioni e non di quelli dello stock delle emissioni precedenti.