Meno male che esiste Fiorello. Con il suo non essere prevedibile, con la sua perfetta casualità, unica cosa vera in una sera di finzioni, ma non per questo finta, ha salvato tutto e tutti. Perché l’esordio, con quel lezioso e fastidioso “poropopo” della sigla, da far invidia alla versione da stadio dell’Inno di mameli, è quanto di più imbarazzante potesse pensare una produzione. Assenza di fantasia e scarso senso dell’ironia. Per fortuna che esiste Fiorello e, per fortuna, Baglioni è riuscito a portarlo li, sul palco dell’Ariston dove l’italia intera trova il suo punto d’intersezione per sei giorni all’anno. Succede, è successo e succederà ancora… in fondo non è un festival ma una festa paesana in grande stile, enorme, dove non si bada a spese, tanto ci sono i soldi del canone. E allora esageriamo. Anzi concediamoci anche il lusso del disturbatore in avvio di trasmissione. Sembra preparato ma non lo è. Cosa c’è di scritto a Sanremo? Nulla. Assolutamente nulla, tutto casuale, imprevedibile. E in fondo, Fiorello che fa un finto sondaggio sul voto in sala (con l'imbarazzo dei dirigenti Rai) prima del collegamento la Pausini e il duetto con Baglioni sono pezzi di tivù che resteranno negli annali… Bene cosi: almeno uno sa perché paga il canone….
L'anima della festa
“Alla terza serata verrà Erdogan: gli hanno detto che nella sala stampa dell'Ariston ci sono 1300 giornalisti liberi. Tranquilli, alla terza puntata ci sarà lui a sistemare le cose”, dice Rosario Fiorello, scherzando dal palco. Un tuffo dentro la realtà che fa bene a tutti. Certo, poi c’è anche la gara, dove le ugole di casa nostra provano a staccare i piedi da terra per vedere cosa c’è oltre l’orizzonte. C’è molto, forse pure troppo per essere paragonato con Sanremo. Ma il mondo, il resto del mondo ha un’altra anima. Noi, in fondo, proviamo a tenerci stretta la nostra. Con canzonette buone per radersi al mattino e fischiettare sul tram. Questo ci è dato: poche quelle che brillano, qualcuna degna di nota, altre da rivedere e risentire. Però la manifestazione, tutta televisiva, c’è, ha un’anima. E Baglioni, a modo suo, è un muscolo, un nervo, un filamento fluorescente di questa anima che un gruppo di attori bravi e esperti ha provato a rendere ancor più forte. Da premiare il lavoro e la presenza scenica di Favino e della Hunziker, bravi e sempre nella misura.
Le canzoni al centro
Va detto, a onor del vero, che già Giorgio Panariello, molti anni fa, quando gli fu affidato il Festival provò a mettere al centro le canzoni: quell’edizione venne bocciata da tutti. Ingiustamente, perché Baglioni, volendo riscattare l’arte povera della canzonetta, ha percorso lo stesso sentiero. Dalla sua c’è la forza del nome e della storia. Panariello non aveva quel background. A ciascuno il suo, ma era doveroso ricordarlo. Perché osannare musica e parole dovrebbe essere il compito di questa manifestazione, non altro. Come hanno fatto altri conduttori, i quali hanno cercato di cucirsi addosso la manifestazione, e non il contrario. Del resto, questo è un tipico vizio italiano, dove un popolo di commissari tecnici vorrebbe vedere in campo la sua nazionale. “Le canzoni sono come coriandoli di infinito, sono mare, vento, terra, cielo, neve di sogni che sembra venire da un altro pianeta – dice Baglioni aprendo il Festival -. Nessuno sa da dove provengano. In pochi secondi fanno piccoli miracoli”. E allora non resta che sperare che ciò accada davvero. Buona la prima? Ma sì dai, strada facendo si può solo migliorare…