Il presidente Mattarella risponde ai carcerati e le sue parole hanno tutto il peso di una tragica consapevolezza: le carceri italiane sono “sovraffollate e non sempre adeguate a garantire appieno i livelli di dignità umana” ha replicato il capo dello Stato alla missiva che i detenuti veneti hanno inviato a tutte le massime cariche dello Stato nei giorni scorsi. Dai centri di detenzione di Venezia, Padova e Vicenza si era levato un grido disperato: “Ci meritiamo una pena, ma non la tortura” hanno urlato i carcerati nero su bianco, menzionando le limitazioni della propria libertà personale imposte dalla pandemia di Covid-19.
Parte della collettività
Il capo dello Stato puntualizza la grave situazione delle carceri italiane, “sovraffollate e non sempre adeguate a garantire appieno i livelli di dignità umana”. Mattarella si è detto colpito dalla lettera, “perché è il segno di una sincera preoccupazione per la gravissima epidemia che sta interessando il nostro Paese” puntualizzando, pur tuttavia, che la partecipazione dei detenuti a quest’emergenza, pur nelle condizioni di limitazione della loro libertà, è segno di una totale appartenenza alla collettività “di cui voi tutti siete parte”. Il presidente della Repubblica ha, inoltre, fatto un plauso all’iniziativa promossa dai detenuti veneti di una colletta a favore degli ospedali: “Il vostro gesto di grande generosità dimostra che, pur nella vostra condizione di privazione della libertà, avete trovato la sensibilità e la forza per aiutare chi soffre e chi si prodiga generosamente per la loro guarigione” ha scritto il capo dello Stato.
Allarme rivolte
Sono passate due settimane dalle rivolte nelle carceri italiane costate 12 morti per overdose, 600 posti letto distrutti per un totale 20 milioni di euro di danni. Ma l’allerta resta ancora alta. In una nota indirizzata ai prefetti, ai questori, all’Arma dei Carabinieri, della Gdf, Polizia di prevenzione e direzione centrale anticrimine tre giorni fa , il capo della Polizia, Franco Gabrielli, ha lanciato l’allarme su una recidiva nelle rivolte, stavolta “con con l’aggravante di un possibile appoggio esterno da parte delle famiglie dei detenuti e di gruppi anarchici”. Nella missiva, Gabrielli puntualizza che il divieto dei colloqui possa “innescare nuove eclatanti contestazioni dei detenuti, cui potrebbero aggiungersi iniziative esterne da parte dei familiari, con il convergente interesse delle diverse anime del movimento anarchico, già protagonista di campagne anti carcerarie, culminate in manifestazioni estemporanee ed azioni improntate all’illegalità”. Dal Viminale s’invita a non abbassare la guardia, mentre sia i prefetti che questori sono invitati ad adottare misure adeguate per scongiurare gli assembramenti fuori dalle carceri coordinati dai familiari dei detenuti.
L’allarme dei sindacati:
Ai timori del Ministero dell’Interno si uniscono quelli dei sindacati di categoria: “Anche nelle carceri del Sud la situazione è a limite della sopportazione e giorno per giorno diventa carica di tensioni. Qualcuno evidentemente si illude che nelle carceri è tornata la calma, ma purtroppo non è così” ha sottolineato in una nota il Sindacato di Polizia Penitenziaria. Lo scenario prospettato da Aldo Di Giacomo è quello di una “calma apparente”, anche se lo stesso avverte: i nuovi agenti – un migliaio circa – non saranno sufficienti: “dovrebbero essere formati e non mandati allo sbaraglio“. Fra le preoccupazioni, si leva la voce del triestino padre Alex Zanotelli: “Fuori dalle carceri i detenuti con reati lievi”.