“Fino a che tutti non sono liberi, nessuno è libero”, scrive Martin Luther King, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani. Senza eliminare l’asservimento dei più fragili, restiamo servi della mentalità venefica della sottomissione. Per contrastare la tratta occorre arrivare alla radice del fenomeno e rimuoverne le cause. La tratta degli esseri umani è il più abietto dei crimini contro l’umanità. Un abominio che viene perpetrato nella noncuranza generale e si alimenta incessantemente di un colossale “non detto”, cioè della recondita e inscalfibile convinzione che le vittime della turpe e sistematica violazione della dignità umana siano in fondo “diverse” da noi, inferiori. Quasi fossero predestinate dalla nascita a degradarsi negli angoli più bui e vergognosi di una società che globalizza l’indifferenza.
Condizioni di povertà estrema, guerre, persecuzioni spingono sulle rotte della disperazione migliaia di “invisibili” che diventano prede innocenti dei moderni negrieri che sfruttano l’assenza di prospettive di sorelle e fratelli resi fragili da situazioni sociali ed esistenziali inique e crudeli nelle quali si allarga il divario tra i pochi che prosperano nel benessere e coloro che precipitano nell’asservimento e nella morte pur di cercare un’alternativa a una sorte che appare loro segnata. Oggi ricorre la Giornata mondiale della tratta indetta da papa Francesco nel segno di santa Giuseppina Bakhita, protettrice degli schiavi.
Un richiamo planetario alla coscienza individuale e collettiva, al senso di condivisione di tutti e di ciascuno, rivolto alle istituzioni nazionali e sovranazionali, alle famiglie, agli educatori, ai mass media affinché non venga mai considerato normale appropriarsi della vita altrui. Mercimonio coatto, caporalato, sfruttamento dell’accattonaggio, utero in affitto, mercato degli organi sono le molte diramazioni dell’unica atroce deriva etica che racchiudiamo nel termine “tratta”. Ad aggravare la malattia dell’anima che spinge a considerare il prossimo come un mezzo invece che come un fine è la bramosia di ingiusti guadagni e di piaceri non meritati né conquistati attraverso i sentimenti ma mercanteggiati come se fossero oggetti di cui appropriarsi.
In tanti anni trascorsi in strada a soccorrere le “donne crocifisse” e nelle case famiglie a dare loro la possibilità di costruirsi una nuova esistenza, ho sperimentato la validità degli insegnamenti testimoniati da don Oreste Benzi, l’infaticabile apostolo della carità che non si è mai piegato al racket della prostituzione. “Nessuna donna nasce prostituta ma c’è sempre qualcuno che ce la fa diventare”, diceva il fondatore della comunità Papa Giovanni XXIII. Fin dall’inizio del ministero sacerdotale ho rivolto il mio servizio all’aiuto delle più indifese delle creature e non sento mai tanto vicino il Signore quanto nei momenti nei quali vedo spezzarsi le catene della sottomissione. La libertà è un dono da spartire con quanti ne sono privati. Dobbiamo cambiare la mentalità che sta dietro alla tratta e ai traffici internazionali a noi invisibili che consentono di rinnovare continuamente le forme di schiavitù. Mi rivolgo principalmente a chi ha compiti educativi e formativi. La tratta va studiata e insegnata non solo sotto il profilo storico, negli aspetti da reprimere legislativamente, nell’azione delle forze dell’ordine e nel meritorio impegno delle realtà del terzo settore che se ne occupano incessantemente.
Serve un approccio multidisciplinare che ci coinvolga tutti, a cominciare dalla scuola, per approfondire le ragioni che spingono l’uomo di ogni tempo a fare del suo simile una merce. Il Pontefice ci esorta a trasformare le nostre intenzioni in realtà, mediante azioni concrete di contrasto alla tratta. Sulle sue orme siamo sollecitati a pregare e agire per questa causa prioritaria di dignità. Insieme possiamo mobilitarci sia personalmente e anche nei vari ambiti sociali. Solo così dimostreremo che contro la tratta sappiamo “ascoltare, sognare e agire”.
L’editoriale di don Aldo Buonaiuto è stato pubblicato su Avvenire