Ha resistito a tutto: elezioni Europee e regionali, fronde, mal di pancia, minoranze, scissioni e riforme approvate sul filo. Ha provocato urla e tensioni, grida all’inciucio e al colpo di Stato. Sembrava un contratto firmato col sangue piuttosto che un patto politico quello stretto più di un anno fa da Silvio Berlusconi e Matteo Renzi. Una questione d’onore da rispettare tra la vecchia e la giovane volpe, un amore vissuto nell’ombra, lontano da occhi indiscreti e critici. Ma in questi giorni che hanno preceduto il voto per il Quirinale l’aria è cambiata. Lo ha percepito chi frequenta in modo assiduo le stanze di Palazzo. Prima il forfait dell’ex cavaliere alle consultazioni indette dal premier nella sede del Pd, poi il colloquio di due ore a Palazzo Chigi. Alcuni testimoni raccontano di un clima teso, in cui i due leader non se le sono mandate a dire.
Ma su cosa? Spifferi e voci parlano di un Berlusconi che avrebbe alzato la posta fin dove Renzi non poteva andare: grazia, aiuti per le aziende e quant’altro. Non che non se ne fosse discusso prima e forse, si è detto, alcune di queste richieste erano già entrate nell’accordo del gennaio 2014. Ma al presidente del Consiglio, raccontano, pare non sia piaciuto l’ultimatum posto da Berlusconi. Così avrebbe deciso di andare avanti sulla sua strada. Questo secondo alcuni testimoni. Per altri si tratterebbe di una semplice messa in scena. Renzi sarebbe riuscito a convincere il leader azzurro sulla candidatura di Mattarella. Ma Berlusconi gli avrebbe detto, per coerenza, di non poterlo votare. Così si sarebbe giunti a un accordo: fingere una lite per mettere a tacere le polemiche interne e tornare a riparlarne più avanti, a bocce ferme. Vai a capire qual’è lo spiffero più veritiero.