Sono 13.195 le persone che si sono rivolte nel 2018 ai centri di ascolto dell’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di Caritas Ambrosiana, un numero equivalente a quello registrato in media nel periodo precedente alla crisi economica. Il decennio trascorso ha lasciato, tuttavia, una pesante eredità. Gli italiani che hanno dovuto chiedere aiuto sono giunti al 37,3% (erano il 30% nel 2000). Sul totale degli utenti, a prescindere dalla nazionalità, uno su dieci soffre di problemi piscologici o psichiatrici prodotti dal perdurare delle difficoltà economiche. Oltre la metà degli utenti si era già presentato negli anni precedenti, mentre nel 2008 i “cronici” rappresentavano un terzo.
Nuove esigenze
Il rapporto “La povertà nella Diocesi ambrosiana” è stato presentato stamattina nella sede di Caritas Ambrosiana. “Gli italiani sono i più fragili. Ma come emerge dai dati non li si aiuta dando la colpa agli stranieri. Lo slogan “prima gli italiani” è un inganno. Come ci insegna papa Francesco bisogna partire dagli ultimi. Perché solo partendo da loro, si risolvono i problemi di tutti”, spiega Luciano Gualzetti, direttore di Caritas Ambrosiana. “Per chi è caduto nelle maglie delle crisi, il lavoro e il reddito sono i principali problemi – ha continuato Gualzetti -. Ma spesso non è possibile aiutare queste persone rispondendo in prima istanza a quei bisogni. Occorre che le comunità se ne prendano cura integralmente affinché le stesse persone in difficoltà possano ritrovare quelle energie residue con le quali rimettersi in piedi. Occorre più creatività, maggiore ascolto, nuove competenze. Insomma un nuovo approccio che esca dagli schemi assistenzialistici e si sforzi di essere generativo”.
Servizi diocesani
Sul tema della salute mentale si è soffermata Paola Soncini dell’Area Psichiatria di Caritas Ambrosiana: “La crisi ha fatto aumentare il disagio piscologico e in soggetti già fragili l’impatto è stato superiore alle loro capacità di assorbire l’urto, come dicono le osservazioni raccolte dai volontari dei centri di ascolto rielaborate dal Rapporto. Gli interventi sociali dovrebbero essere orientati ad aumentare la cosiddetta ”resilienza” delle persone, cioè la capacità di superare i traumi”. L’indagine è stata condotta tra il 1° gennaio e il 31 dicembre del 2018 fra tre servizi diocesani e 87 centri di ascolto, individuati come rappresentativi dei 390 presenti in Diocesi, ognuno dei quali ha incontrato in media 114 persone.
Non è un problema di sicurezza
“Aver derubricato la povertà a problema di sicurezza è il modo migliore per non affrontare il problema –osserva Maurizio Ambrosini, sociologo, docente all'Università degli studi di Milano – A chi dice prima gli italiani andrebbe domandando quali politiche per gli italiani poveri sono state eliminate a causa degli immigrati. La risposta è nessuna. Dietro questa retorica si nasconde l’incapacità della politica di dare delle risposte”. L’analisi delle note stese dai volontari a seguito dei colloqui, resa possibile dall’adozione di un nuovo software, ha fatto emergere la presenza di disagio psicologico o patologie psichiatriche tra il 9% del totale degli utenti. Secondo gli autori della ricerca la maggiore vulnerabilità di questi soggetti è da mettere in relazione con l’impoverimento materiale delle famiglie negli anni successivi alla crisi economica e le difficoltà conseguenti alla gestione della vita quotidiana.
Centri di ascolto
Proiettando il dato su tutto il territorio diocesano (390 centri di ascolto), dunque, è possibile stimare che siano state 46mila le persone in difficoltà che si sono rivolte al sistema di welfare ecclesiale e che tra costoro siano 4.600 gli individui che si trovano in condizione di fragilità psicologica. Secondo l’indagine, le persone più fragili sono proprio i cittadini di nazionalità italiana, come si è detto, una percentuale crescente tra gli utenti dei centri di ascolto, anche in realtà per effetto di una quota di cittadini di origine straniera che nel frattempo ha acquisito la cittadinanza. Tra coloro che si rivolgono ai centri di ascolto proprio gli italiani sono generalmente gli utenti più anziani (tra gli over 65 il 10% sono italiani, contro l’1,8% degli stranieri), si trovano spesso in una condizione di disoccupazione di lungo periodo (43,4,% a fronte del 29,4%) , hanno livelli di scolarità più bassi, e sono privi di legami stabili (65,2% a fronte del 43,6%).
Fragilità dei legami familiari
La rottura o l’assenza di legami è a volte la causa, altre, l’effetto del processo di impoverimento come emerge dal fatto che il 51,6% è solo perché celibe o nubile, separato, divorziato o vedovo. Appare evidente la correlazione tra povertà e bassa scolarità. Tra gli utenti le persone che o non hanno alcun titolo di studio o non hanno conseguito un titolo superiore alla licenza media supera abbondantemente la metà (58,3%), tra gli uomini lo stesso dato raggiunge il 64,9%, scende invece tra le donne al 52,9%. Il bisogno principale riguarda l’occupazione (52,1%), segue il reddito (50,4%, ma tra gli italiani arriva al 54,5%), infine i problemi legati alla casa (affitto, costi delle utenze, spese condominiali), espressi dal 16,9% delle persone (dal 24,5% se si considerano solo gli uomini). La richiesta più frequente riguarda, tuttavia, gli aiuti alimentari (36,1%).