Categories: Italia

Trivelle sì o no? Parola agli esperti

Logo Interris - Trivelle sì o no? Parola agli esperti

Logo INTERRIS in sostituzione per l'articolo: Trivelle sì o no? Parola agli esperti

All'esito di un dibattito serrato, nel quale non sono mancati momenti di tensione, il governo gialloverde ha trovato la quadra sull'emendamento al dl Semplificazione che riguarda le attività di trivellazione lungo le coste italiane. Si tratta di un tema caldo, che tira in ballo quello – fondamentale in questo particolare momento storico – dell'approvvigionamento energetico. Per offrire una panoramica chiara sulla questione, In Terris ha dato spazio a due pareri contrastanti: quello del sindaco e presidente della Provincia di Ravenna, Michele de Pascale, sostenitore delle attività di estrazione in mare, e quello di Andrea Minutolo, coordinatore dell'ufficio scientifico di Legambiente, da sempre contraria alle trivelle. 

Andrea Minutolo

Dopo una giornata di tensioni M5s-Lega hanno trovato un accordo sul caso trivelle. Siete soddisfatti?
“La moratoria di 18 mesi sulla ricerca in mare di idrocarbuti è un piccolo, timido, passo nella direzione giusta. Ci aspettiamo che ne seguano altri, molto più incisivi. Il governo, in particolare, deve dare un chiaro segnale di uscita dall'impiego delle fonti fossili. Servono modifiche strutturali, normative, come quella dell'articolo 38 dello Sblocca Italia, ma anche misure riguardanti le royality e l'airgun”. 

Di “primo passo” ha parlato anche il ministro Costa, arrivato a minacciare le dimissioni per difendere il no alle trivellazioni…
“Abbiamo apprezzato la sua forte presa di posizione, anche se l'intesa raggiunta non è altrettanto netta. Vogliamo vederla come una presa in carico della questione da parte dell'esecutivo. L'Italia deve uscire dal fossile e adottare un sistema energetico fondato sulle rinnovabili”. 

Da forze di opposizione il no alle trivelle di Lega e 5 Stelle era stato molto chiaro…
“Ci saremmo aspettati la stessa fermezza e durezza sul punto espresse durante le passate legislature, in particolare in occasione del referendum del 2016. Non so se con l'arrivo al governo abbiano subito qualche pressione, magari provenienti dal mondo delle compagnie petrolifere, che in Italia continua ad avere il suo peso”. 

Chi è favorevole alle trivellazioni sostiene che con lo stop alle piattaforme si perderanno posti di lavoro…
“E' un altro mito da sfatare. I dipendenti impiegati in questo campo sono poche migliaia, che per carità meritano il massimo rispetto. Ma una loro rincoversione – in ottica di rinnovabili – potrebbe essere foriera di un surplus di richiesta e quindi creare decine di migliaia di posizioni disponibili. Senza contare i benefici ambientali e sanitari connessi. E' la politica che deve proporre una visione e portarla avanti. Proseguire sulla strada delle estrazioni mantiene i posti esistenti ma crea pochissime nuove opportunità”.  

Prima ha citato l'airgun. Quali danni ambientali creano queste attività?
“L'airgun, nello specifico, è un sistema impiegato per effettuare la ricerca di idrocarburi. Determina un forte inquinamento acustico sottomarino, che danneggia capodogli, balene e gli altri animali acquatici che si muovono e si orientano emettendo ultrasuoni. L'estrazione tout court, invece, porta con sé il rischio di contaminazione per gli sversamenti di greggio e metano, che sono all'ordine del giorno”.

C'è chi li considera rischi accettabili per soddisfare il nostro fabbisogno energetico…
“Non è vero. Se anche, per ipotesi, estraessimo tutto il gas e il petrolio contenuto nei nostri fondali marini non copriremmo tutto il nostro consumo. Ci andremmo avanti forse un anno. E' una tipologia di sviluppo assolutamente insensata…”

Anche perché petrolio e gas continuiamo a comprarli all'estero..
“Esatto. E lo facciamo proprio mentre proseguiamo con le estrazioni nei nostri mari. Dobbiamo puntare a un sistema sostenibile, fondato sulle rinnovabili. A quel punto non avremmo più bisogno di consumare tutte queste fonti fossili”. 

L'inversione di tendenza che arriva dagli Stati Uniti, dove si è tornati a puntare sul fossile, può aver mutato la percezione del problema?
“Ogni Paese è libero di fare come vuole. Io voglio portare l'esempio della Cina, potenza economica paragonabile agli Usa che sta investendo su rinnovabili e mobilità elettrica, cercando di uscire dalla dipendenza dalle fonti fossili. L'indirizzo globale, al di là delle decisioni dei singoli governi, resta quello del Cop21 di Parigi, che prevede il progressivo abbandono degli idrocarburi”. 

E l'Italia?
“Come al solito tiene il piede in due staffe. Da una parte conferma a parole la sua adesione a Parigi, dall'altra, sul fronte delle politiche nazionali non ha un'idea chiara, cercando di accontentare un po' tutti. Comprese le compagnie petrolifere, i cui interessi vanno in direzione opposta rispetto agli accordi sul clima”.

Quanto ci vorrà per essere autosufficienti con le rinnovabili?
“Già oggi circa il 30% del nostro fabbisogno energetico è coperto dalle rinnovabili. Il livello di innovazione e di know how raggiunto dall'Italia su questo tipo di tecnologie deve essere supportato da politiche di ampio respiro. Ci aspettiamo, ad esempio, che Eni – una partecipata pubblica – venga indirizzata sulle energie verdi piuttosto che lasciarla trivellare in tutto il mondo come fa ancora. Il cambio di fonti, insomma, è già realtà: basti pensare al biogas prodotto dal compost dei rifiuti. Risorsa che, fino a poco tempo fa, eri costretto a bruciare: un vero e proprio spreco”. 

Michele De Pascale

Se finissero le trivellazioni in Italia, quali sarebbero le conseguenze per i lavoratori?
“L’Italia rappresenta un’eccellenza mondiale. È evidente che una tale ipotesi sarebbe il colpo di grazia per un settore strategico, che già in questi anni ha pagato una crisi legata a dinamiche di mercato internazionali. E i posti di lavoro che salterebbero hanno un altissimo valore aggiunto, perché parliamo di ingegneri e di operai specializzati di grande qualità”.

Possiamo calcolare una stima?
“Solo i lavoratori diretti sono decine di migliaia di persone. Se poi consideriamo anche l’indotto, le persone sono centinaia di migliaia: questo settore ha correlazioni molto fitte ad esempio con l’industria meccanica, in Italia dagli anni ‘50 in poi si è sviluppata tutta una economica di supporto all’offshore”.

L’accordo tra Lega e M5s è stato trovato su un aumento del canone per le aziende di 25 volte anziché di 35 come prevedeva il testo originario. Questo aumento potrebbe comunque dissuadere le compagnie dal continuare ad investire in Italia?
“Ciò che è devastante per questo settore sono l’incertezza e l’approccio ascientifico. Lo Stato sta prendendo decisioni non su base scientifica e strategica per tutelare l’ambiente e il lavoro, ma sta facendo demagogia. Il punto è che una parte dell’attuale governo, in crollo di consensi, deve agitare un totem politico per risalire la china. Questo atteggiamento lo paghiamo tutti noi dando al mondo l’immagine di un’Italia in cui investire non conviene, perché da un momento all’altro può arrivare un emendamento su un provvedimento che non c’entra nulla che distrugge un intero comparto economico. Si sta creando un precedente gravissimo”.

Molto si è detto a proposito dell’airgun, bombe d’aria e sonore. Non è vero che provocano danni ai fondali marini e alla fauna ittica?
“Mi spaventa quando la politica vuole sostituirsi alla scienza, mi ricorda epoche buie. Il dibattito sulle tecnologie che si possono utilizzare deve essere tra scienziati. Ebbene, ogni attività di estrazione è soggetta a procedure di impatto ambientale. Benché la mia città viva molto intorno al mondo dell’offshore, io non mi sognerei mai di dire ai ravennati che questa attività possa prescindere dai danni all’ambiente. È evidente che le estrazioni sotto costa sono nefaste, perché i danni ambientali sono molto più rilevanti dei benefici economici; ma quando ci allontaniamo di cinque miglia dalla costa è assolutamente impossibile – e lo dice la scienza – provocare danni all’ambiente. Va detto inoltre che queste attività svolte a debita distanza consentono al nostro Paese di produrre gas naturale, che ha la peculiarità di essere già pronto per l’uso e non necessita di impianti di desolforizzazione. Ricordo inoltre che il 25% di quello che importiamo dalla Russia lo spendiamo per il trasporto e lo emettiamo in atmosfera, dunque il gas importato è più costoso e più inquinante”.

Ma si potrebbe tuttavia investire in energie rinnovabili…
“Ma il tema delle rinnovabili è il grande assente di questo provvedimento. Questo testo si limita a distruggere la produzione nazionale e ad aumentare le importazioni: sembra un provvedimento scritto dalle multinazionali straniere, che avrebbero tutto l’interesse a venderci più gas e a un prezzo più alto”.

La tendenza comune è quella di ridurre sempre più gli investimenti nelle fonti fossili. Ha ancora senso continuare a investire nelle esplorazioni petrolifere?
“Il petrolio e il carbone sono energie del passato che vanno abbandonate al più presto. Ma per farlo è necessario utilizzare il nostro metano per la transizione energetica verso le rinnovabili. C’è una sorta di neo-colonialismo dietro a questo provvedimento: il fornello acceso e il riscaldamento a casa li vogliamo tutti, però ci infastidisce vedere all’orizzonte delle nostre coste delle piccole piattaforme, allora ci va bene che quelle stesse piattaforme vengano spostate in Egitto, in Kazakistan, in Nigeria, con meno rispetto ambientale e meno sicurezza sul lavoro. Io penso che i diritti di un cittadino nigeriano siano uguali a quelli di un italiano e che le estrazioni si possano fare sia in Italia sia in Nigeria, rispettando la sicurezza del lavoro e l’ambiente”.

Cosa direbbe agli amministratori locali che agitano il tema del turismo che verrebbe minato dalle trivelle?
“Che Ravenna è uno degli esempi migliori di come si possano coniugare ambiente, turismo e industria grazie alla collaborazione continua con gli scienziati: nell’Alto Adriatico non abbiamo estrazioni di petrolio, perché il rischio remoto di un incidente (a differenza di quanto avverrebbe in un estrattore di gas metano) sarebbe devastante per il turismo. Credo che la battaglia da fare sia non per impedire le estrazioni, ma per garantire che siano sicure. Del resto se fermiamo le trivelle noi, le farebbero dall’altro lato dell’Adriatico: mi sembra un paradosso”.

Federico Cenci e Luca La Mantia: