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Trattativa Stato-Mafia: Mattarella non deporrà come teste al processo

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Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, citato come teste a difesa dell’ex ministro Dc Nicola Mancino, non deporrà al processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia. Lo ha disposto la Corte d’assise che celebra il dibattimento dopo la richiesta di revoca della citazione fatta dagli stessi avvocati di Mancino e prendendo atto che le altre parti processuali – pm e legali degli imputati – non si opponevano.

Prima della decisione il legale di Mancino, Nicoletta Piromalli, aveva comunicato la volontà di rinunciare al teste che era stato inserito nella lista della difesa prima della sua elezione a presidente della Repubblica. Mancino al processo è imputato di falsa testimonianza. Mattarella era stato citato per riferire sull’avvicendamento alla guida del ministero dell’Interno tra Vincenzo Scotti e Mancino, nel luglio 1992. Il Capo dello Stato allora era vice segretario della Democrazia Cristiana. Per la difesa di Mancino – e questo aspetto avrebbe dovuto confermare Mattarella – la sostituzione di Scotti fu determinata da motivi politici.

Diversa l’ipotesi dell’accusa che vuole Mancino al Viminale perché ritenuto più accomodante di Scotti nei confronti dei clan mafiosi. I legali di Mancino hanno rinunciato alla testimonianza per “economia processuale” e perché, avendo già deposto altri politici sul punto, la prova era diventata “superflua”. Nel processo, che è cominciato nel maggio 2013, oltre a Mancino sono imputati Marcello Dell’Utri e l’ex capo del Ros Antonio Subranni che, secondo l’accusa su pressione di Calogero Mannino avrebbe indotto Mario Mori e Giuseppe De Donno, anch’essi imputati, suoi uomini al Raggruppamento speciale a contattare Vito Ciancimino per avviare il dialogo, prima con Totò Riina, poi con Bernardo Provenzano. E ancora lo stesso Riina e gli altri mafiosi Antonino Cinà e Leoluca Bagarella, il pentito Giovanni Brusca, Massimo Ciancimino. Quest’ultimo è accusato di concorso in associazione mafiosa e calunnia all’ex capo della polizia Gianni De Gennaro. Per gli altri le accuse sono di violenza o minaccia a corpo politico dello Stato. L’ex ministro Calogero Mannino ha scelto il rito abbreviato e nel novembre 2015 è stato assolto per non aver commesso il fatto.

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