La Corte europea dei diritti dell'uomo ha avviato un procedimento contro Germania e Italia sull'incidente nello stabilimento torinese della ThyssenKrupp in cui morirono sette operai coinvolti nel rogo dello stabilimento. A distanza di dodici anni, il caso non è ancora chiuso, dunque. Soprattutto per i familiari delle vittime e di un sopravvissuto, l'operaio e sindacalista Antonio Boccuzzi, che il 12 agosto dello scorso anno hanno fatto ricorso alla Corte di Strasburgo per far valere i loro diritti.
L'inchiesta de Le Iene
“Perché i manager, seppur condannati, sono ancora in libertà?”. È la domanda che i parenti – in tutto 26 – hanno rivolto alla Corte europea dei diritti dell'uomo, che hanno accusato i governi di Berlino e Roma di aver violato il diritto al rispetto della vita. Nel 2016, i tribunali italiani hanno condannato i due manager tedeschi, Herald Espenhahn e Gerald Priegnitz i quali, contrariamente da quanto previsto dalla sentenza, sono ancora in stato di libertà, come ha reso noto l'inchiesta condotta da Alessandro Politi de Le Iene.
La tragedia
Nella notte tra il 5 ed il 6 dicembre 2007, sette operai in turno sulla linea di produzione numero 5 degli “stabilimenti Terni” di Torino furono investiti da un getto di olio bollente fatale. Sino alla fine di dicembre moriranno: Antonio Schiavone, Angelo Laurino, Roberto Scola, Rosario Rodinò, Bruno Santino, Rocco Marzo e Giuseppe Demasi. Citati in giudizio, i vertici della ThyssenKrupp indicarono come responsabili gli stessi operai, poiché non avrebbero rispettato le procedure e le rispettive norme di sicurezza. Ma le fasi del processo hanno rivelato una realtà diversa: grazie alla testimonianza di un operaio superstite in quell'incidente, Antonio Boccuzzi, che ha raccontato come andarono realmente le cose quella notte. Ne è emerso che non solo la linea di produzione incriminata aveva giàò prodotto incidenti, ma anche che l'azienda non aveva formato né garantito il personale addetto alla sicurezza. Si passò così alle “sfavorevoli circostanze” che avrebbero causato l'incidente sino al processo conclusosi nel 2011 con cui la Corte d'Assise di Torino condanno i manager tedeschi per incendio doloso, omicidio colposo ed omicidio volontario plurimo. Il 13 maggio 2016, la Corte di Cassazione ha confermato le pene dell'Appello: 9 anni e 8 mesi ad Espenhahn, pene tra i 7 anni e sei mesi ai 6 anni e 3 mesi per tutti gli altri responsabili. I dirigenti di nazionalità italiana condannati hanno già scontato due anni di reclusione, mentre i vertici tedeschi, responsabili dello stabilimento di Torino, vivono da liberi in Germania.
La palla a Germania e Italia
Secondo quanto riportato dall'Unione forense per la tutela dei diritti umani, la Corte europea ha comunicato al governo tedesco e a quello italiano il ricorso presentato dai legali dei parenti delle vittime “al fine di imporre allo Stato di eseguire senza ulteriore ritardo la sentenza di condanna dei due dirigenti della Thyssen“. A Berlino e Roma tocca ora il compito di fornire tutti i dettagli sullo stato di avanzamento dell'esecuzione della condanna. Dopo aver vagliato i documenti trasmessi, Strasburgo procederà a vagliare se le autorità tedesche e italiane hanno cooperato diligentemente per trovare una soluzione giuridica al problema dell'esecuzione della sentenza o se, viceversa, sarebbe stato opportuno presentare una “procedura di infrazione” contro la Germania dinanzi alla Corte di Giustizia europea.