Creare opportunità di lavoro valorizzando settori spesso sottovalutati ma con grandi potenzialità, come quello della Green Economy. Questo uno dei punti centrali del programma col quale il Movimento 5 Stelle si presenta agli elettori. Della ricetta proposta dal partito fondato da Beppe Grillo per risollevare le sorti dell'Italia abbiamo parlato con Patrizia Terzoni, membro della Commissione Ambiente Territorio e Lavori pubblici della Camera, che corre per un secondo mandato dopo i primi 5 anni a Montecitorio.
Partiamo dal lavoro. Nel vostro programma si parla di riforma della rappresentanza sindacale, di maggiore democrazia nelle scelte aziendali, di revisione degli orari. Tutte cose che riguardano il rapporto fra dipendente e datore. Manca, però, la ricetta per creare nuovi posti…
“Sarà l'attuazione dell'intero programma a creare nuove opportunità di lavoro. Abbassare le tasse delle piccole e medie imprese, ad esempio, consentirà loro di fare investimenti e quindi di aumentare i propri dipendenti. Non solo: vogliamo dirottare i soldi oggi stanziati per le grandi opere o per l'approvvigionamento di energie fossili in settori dotati di elevato potenziale lavorativo. Penso all'efficienza energetica, alla manutenzione del territorio, alle attività necessarie per attenuare il dissesto idrogeologico… Un'indagine conoscitiva che abbiamo realizzato in commissione Ambiente spiega che investendo in Green Economy 1 miliardo degli stanziamenti destinati alle grandi opere si registrerebbe un più 5% di posti di lavoro. Nuove opportunità si creerebbero anche investendo nell'efficienza energetica e nella ristrutturazione degli edifici. Nel programma è prevista anche una revisione del settore turismo. Vogliamo creare, a livello nazionale, un ufficio unico. In Italia si deve poter venire non solo per le opere d'arte, ma anche per l'enogastronomia, l'agroturismo e l'ecoturismo. Settori oggi trascurati che possono creare nuove opportunità lavorative”.
Ha parlato di ambiente… Una volta a governo quale sarà la vostra risposta al dietrofront degli Stati Uniti sulla questione del riscaldamento globale?
“Non condividiamo minimamente le politiche di Trump. Il nostro programma 'Energia' prevede il graduale abbandono del fossile e il 100% di rinnovabili entro il 2050. Un piano che comprende vari step e, in particolare, incentivi all'uso dell'elettrico. Sul piano dei trasporti, poi, vogliamo progressivamente passare dalla gomma al ferro e favorire la produzione di auto elettriche”.
Passiamo a un vostro cavallo di battaglia: il reddito di cittadinanza. Quanto costerà alle casse dello Stato?
“Il costo totale è di 17 miliardi di euro: 14,9 sono per il sostegno al reddito, mentre 2,1 per rafforzare le politiche attive del lavoro e dei centri per l'impiego”.
Quali sono le coperture?
“Sono diverse, le elenco quelle più significative. 5 miliardi dalla ricollocazione della tax expenditures per i redditi più alti, senza intaccare le spese sociali. 2,5 da tagli della spesa della pubblica amministrazione, 2 dall'aumento delle tasse per le banche e le assicurazioni, 1,5 da aumenti dei costi per le trivellazioni delle multinazionali, 1,5 dal fondo di sostegno per la povertà – che confluirebbe nel reddito di cittadinanza – 1 miliardo dalle tasse sul gioco d'azzardo, 0,5 miliardi dalla soppressione di enti inutili, 0,3 dal taglio delle auto blu della sanità, non indispensabili per l'erogazione di servizi. Andremo poi a colpire gli affitti d'oro e le auto blu della pa, le pensioni d'oro e altri privilegi…”.
Una misura di questo tipo non rischia di far contrarre la domanda di lavoro?
“No, perché il reddito di cittadinanza non è a vita ma dura solo 3 anni. Chi lo percepisce deve poi rispettare una serie d'impegni, come partecipare ai corsi di formazione. Se poi per tre volte viene rifiutato il lavoro offerto dai centri per l'impiego il reddito di cittadinanza viene revocato. Non è vero, quindi, che questa misura andrà a incentivare gli auto licenziamenti dei lavoratori, anche perché nessuno si sognerebbe di dare le dimissioni per percepire una somma di denaro che in futuro potrebbe essergli tolta. Il reddito serve solo a dare una vita dignitosa a quanti si trovano in difficoltà, aiutandoli nel contempo a trovare lavoro. Per questo dovrà andare di pari passo con la revisione dei centri per l'impiego, che oggi non funzionano”.
Promettete meno tasse per le Pmi e, in generale, una riduzione della pressione fiscale. Battaglia che, però, vi toccherà condurre in Europa…
“A Bruxelles dobbiamo farci sentire, entrare un po' a gamba tesa. Uno Stato che non fa investimenti e si limita a fare conti di bilancio dall'oggi al domani non crescerà mai. L'Italia deve rivedere le proprie spese ma anche investire in base a una programmazione pluriennale. L'Europa deve assicurarci margine di manovra per poter lavorare”.
L'Ue è centrale anche sul fronte delle politiche migratorie. Come gestirete i flussi?
“Il nostro progetto è quello degli 'sbarchi zero'. In sostanza una rivisitazione di trattati e accordi che comporti l'assegnazione della quota di migranti spettanti a ciascuno Stato direttamente nel Paese d'origine, con la mediazione di consolati e ambasciate. Questo ci consentirà di colpire il business dei trafficanti di esseri umani. In secondo luogo prevediamo l'assunzione di 10 mila nuove risorse per velocizzare la procedura di rilascio del permesso di soggiorno o di rimpatrio. I soldi che oggi spendiamo per missioni militari all'estero che non hanno più ragione di essere verranno poi investiti per il finanziamento di progetti culturali e per politiche agricole, sociali e lavorative nei Paesi dove esistono conflitti. In sostanza: aiutarli nel loro Paese per spingerli a non lasciarlo”.
Un'Italia a 5 Stelle, quindi, non parteciperebbe ai processi di stabilizzazione di Paesi come la Libia?
“In alcuni casi dobbiamo partecipare. Ma è necessario rivedere il capitolo di spese del ministero della Difesa, uno dei più grandi del bilancio dello Stato, perché ci sono missioni in Paesi sperduti alle quali partecipiamo da decenni senza che ci siano più motivi per farlo. Vanno poi controllate le spese effettuate per gli armamenti, come i famosi F-35”.
Considerata la vostra vocazione pacifista e non interventista avete valutato l'ipotesi di un ministero della Pace, chiesto a gran voce, fra gli altri, dalla Comunità Papa Giovanni XXIII?
“Ci stiamo pensando. Non sarebbe però un dicastero a parte ma un 'sottoinsieme' del ministero della Difesa che si occuperebbe dei dossier riguardanti i rapporti internazionali. Dobbiamo approfondire la questione, per questo non lo abbiamo inserito nel programma. Ma se ne sta discutendo”.