Le macerie di L'Aquila e Amatrice raccontano l'incubo piĆ¹ antico dell'uomo: la natura che si ribella, agita le viscere, non perdona e distrugge. Ci trasforma in formiche agitate di una colonia attaccata, nel panico, in fuga. Una spada di Damocle, quella dei terremoti, con cui l'Italia convive da sempre. Ne parlano gli antichi nelle loro storiografie di mille e piĆ¹ anni fa, ne discutono oggi canali all news e social media. Umbria, Molise, Abruzzo, Emilia, Lazio e Marche: la lista degli ultimi 20 anni ĆØ lunga. Tanto che viene da chiedersi: cosa sta succedendo sotto di noi? E soprattutto: quali territori ora rischiano di piĆ¹?
Ne abbiamo parlato con padre Martino Siciliani, direttore dell'Osservatorio sismico “Andrea Bina” di Perugia, uno dei piĆ¹ antichi d'Italia.Ā
Tanti eventi in un lasso di tempo non cosƬ lungo ci dicono che viviamo una fase particolarmente instabile o ĆØ la norma per il nostro Paese?
“Purtroppo ĆØ una periodicitĆ tipica della nostra penisola. L'attivitĆ negli ultimi anni si ĆØ concentrata nel troncone centrale dell'Appennino. Quello del 1997, ad esempio, coinvolse la fascia piĆ¹ vicina a Perugia, anche se la cittĆ non ebbe grossi danni. L'unica anomalia in questo quadro ĆØ stataĀ rappresentata dal sisma dell'Emilia”.
PerchĆ© parla di “anomalia”?
“I geologi non avevano valutato bene la struttura sismotettonica, di conseguenza nessuno poteva immaginare un evento cosƬ importante in quella zona, valutata a basso tasso energetico. Fu una sorpresa per tutti. Anche se nei decenni precedenti avevo registrato attivitĆ sismica ai margini della Pianura Padana, a sud verso l'Appennino e a nord nei pressi del lago di Garda. Poteva essere indice di fenomeni profondi, che poi si sono manifestati con il terremoto del 2012, che ha provocato addirittura la liquefazione del terreno”.
Avete vissuto da vicino il sisma del 1997, quale fu la sua genesi?Ā
“L'attivitĆ iniziĆ² il 12 maggio di quell'anno a Massa Martana ed era molto localizzata. Fece danni ma nessuna vittima. Cominciai, allora, a fare le prime indagini. Notai che, dopo il primo evento, l'ipocentro si era spostato a SellanoĀ e poi continuava a emigrare lungo la dorsale appenninica sino a Gualdo Tadino. Qui la migrazione si fermĆ² e l'attivitĆ cominciĆ² a concentrarsi nella zona di Colfiorito. Studi piĆ¹ approfonditi, effettuati in loco, ci fecero capire che l'intensitĆ stava crescendo. Ai segni premonitori si aggiungeva la documentazione di un terremoto del 1751, redatto dal monaco benedettino inventore del sismografo (padre Andrea Bina, da cui il nome dell'Osservatorio ndr). Grazie a quelle carteĀ notammo che la struttura tettonicaĀ coinvolta era la stessa.Ā Dieci giorni prima del terremoto chiamai il prefetto di Perugia e consigliai di inviare delle tende a Colfiorito, spiegando che c'era la probabilitĆ di un evento sismico consistente. CosƬ riuscimmo a evitare una strage, anche perchĆ© la scossa si registrĆ² alle 02.21 di notte”.Ā
Dall'Umbria all'Aquila, altra zona martoriata…Ā
“Quell'area ha la sfortuna di trovarsi sopra una piattaforma molto solida nella parte superiore ma con uno strato poco solido in quella inferiore. Questo amplifica le onde sismiche, provocando disastri come quello del 2009. In quel caso, tuttavia, l'attivitĆ successiva si concentrĆ² nella zona di L'Aquila, a differenza di quanto avvenuto dopo Amatrice…”
PerchĆ© quello del 2016 ĆØ stato un fenomeno cosƬ vasto?
“PerchĆ© dopo aver colpito nel settore posizionato a nord del Lago di Campotosto l'attivitĆ non si ĆØ fermata, ma si ĆØ mossa per una 20ina di chilometri, raggiungendo i margini dell'Umbria”.
E arriviamo a Norcia…
“La cittadina umbra ha pagato il fatto di essere stata costruita su uno strato di detriti che ha amplificato le onde sismiche. In un'indagine che ci era stata commissionata avevamo ipotizzato il massimo di potenza sviluppata da un terremoto in quel luogo specifico: magnitudo 6.5 con accelerazione del terreno di 1.8. L'evento del 30 ottobre 2016 aveva proprio questi valori, registrati da un accellerometro dell'Ingv posizionato all'interno della Castellina di Norcia”.Ā
(padre Martino Siciliani)
A un terremoto segue, normalmente, il cosiddetto sciame sismico. Quanto dura normalmente questa fase?
“Dipende, puĆ² durare anche molti mesi. Dopo il sisma del '97 ci fu un lungo sciame sismico, con una prima fase particolarmente intensa. Le ultime scosse si registrarono nel marzo successivo, 6 mesi dopo. Il terremoto del 2016 ha avuto un riverbero anche superiore, tuttora in corso anche se in modo molto contenuto”.
Quali sono le zone d'Italia che oggi destano maggiori preoccupazioni?
“Dobbiamo andare per esclusione. Il tempo di ritorno dei terremoti ĆØ piuttosto lungo, anche se non quantificabile con precisione. Per cui possiamo dire che nelle ultime zone colpite – Umbria, Abruzzo, alto Lazio e Marche – ĆØ del tutto improbabile che si verifichi un terremoto di simili proporzioni nel giro di 10/15/20 anni. L'area piĆ¹ a rischio, attualmente, ĆØ la Calabria. Non voglio fare allarmismo, ĆØ solo di una valutazione generica. Si tratta perĆ² di una zona molto vulcanica e nella quale ĆØ presente una grossa faglia. Dal terribile sisma del 1908, poi, gli unici eventi registrati hanno avuto un tenore piuttosto ridotto. D'altra parte ĆØ possibile che il tempo di ritorno possa durare ancora molti anni”.Ā
L'Italia ĆØ ricca di “mostri” dormienti, uno su tutti: il Vesuvio…
“Tempo fa, insieme ad altri enti, abbiamo effettuato una tomografia del Vesuvio, vedendo la profonditĆ del magma e altre caratteristiche. Tutti elementi fondamentali per comprenderne l'attivitĆ . Da quello studio sono passati, perĆ², una quindicina di anni e sarebbe il caso di farne uno nuovo, per evitare spiacevoli sorprese. Aggiungo una cosa…”
Prego…
“I terremoti possono verificarsi lungo zone molto ampie, quindi ĆØ difficile capire dove avverranno. L'attivitĆ dei vulcani, invece, ĆØ localizzata, pertanto le indagini sono relativamente piĆ¹ semplici.Ā Per entrambi i fenomeni bisognerebbe conoscere tre parametri: dove, quando e i rischi connessi. Se nel caso dei terremoti non si puĆ² conoscere nessuno di questi elementi, in quello dei vulcani sappiamo il luogo dove avverrĆ l'eruzione e cosa potrebbe comportare”.
Manca il “quando”…
“Quello non possiamo ancora saperlo, anche se ci sono diversi segnali che ci possono far capire se l'eruzione ĆØ prossima”.Ā
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