La prima sezione civile della Corte d’Appello di Roma ha condannato l’ex generale Bruno Stano, già comandante della missione italiana a Nassiriya, a risarcire le famiglie delle vittime della strage del 12 novembre 2003. Secondo i giudici esiste, infatti, una stretta connessione tra la morte dei militari e la condotta dell’ufficiale, che sottovalutò il pericolo esponendo i suoi uomini al rischio di attentati contro la base.
Nella sentenza, riportata dalla Stampa, si legge che “è manifesta la stretta dipendenza tra il reato commesso e la morte e le lesioni riportate dalle vittime”. Fu quindi, secondo i magistrati, colpa di Stano se soldati e carabinieri, il giorno dell’attacco, si trovarono in una situazione rischiosa, perché si insisteva troppo sul carattere umanitario della missione in Iraq. Ma soprattutto il generale avrebbe ignorato i ripetuti allarmi dell’intelligence e non avrebbe considerato in maniera adeguata che la base era “troppo esposta”. Quindi giorni prima, infatti, il Sismi aveva avvertito di un “attentato in preparazione” che sarebbe stato messo in atto “entro massimo due settimane“, precisando che precisando anche che c’era un “camion di fabbricazione russa con cabina più scura del resto”. Cioè il tir che venne fatto esplodere davanti all’ingresso. Una settimana prima dell’attacco, poi, lo stesso Sismi aveva riferito di “terroristi siriani e yemeniti pronti a trasferirsi a Nassiriya”. Tutti allarmi che hanno fatto ritenere alla Corte “l’evidente sottovalutazione” del pericolo.
Con questa sentenza i giudici civili sovvertono, di fatto, l’esito del processo penale, dal quale Stano era uscito pulito. L’ex generale, fra le altre cose, avrebbe minimizzato, nonostante le richieste giunte dal responsabile della base, un colonnello dei carabinieri. Vennero bocciate, in particolare, sia la richiesta di chiudere le strade, sia quella di mettere un mezzo corazzato davanti all’entrata del quartier generale.
La sentenza mette in chiaro poi molte decisioni discutibili, come le munizioni così vicine all’ingresso, che peggiorarono la situazione e su cui la Corte scrive che “anche un estraneo alle arti militari dovrà rilevare l’irresponsabile assurdità della collocazione così esposta di un deposito di munizioni”. O i sacchi di protezione riempiti non di sabbia ma di sassi, che hanno amplificato gli effetti dell’esplosione.