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Strage di Bologna, trovato il possibile interruttore

Perizia numero quattro relativa alla strage di Bologna, avvenuta il 2 agosto 1980 e, a oggi, nonostante le condanne arrivate negli anni, ancora priva, per molti, di una vera e definitiva risposta. Gli ottantacinque morti e 200 feriti di quella rovente mattinata di 39 anni fa, interrogano ancora lo Stato italiano, tra sospetti e false piste, per capire cosa si nascondesse realmente dietro il massacro, tenendo in considerazione anche ipotesi che, di tanto in tanto, tornano a riaffacciarsi alla ribalta delle cronache. Ora, con la nuova perizia disposta nell'ambito del processo all'ex Nar Gilberto Cavallini (i cui documenti sono stati riportati da Adnkronos), in corso di svolgimento a Bologna davanti alla Corte d'assise, si torna a parlare del quantitativo di tritolo e delle modalità di innesco, riaprendo la questione dell'esplosione accidentale (ovvero in anticipo rispetto a quanto previsto) e, per la prima volta dopo quasi 40 anni, portando sul tavolo il possibile ritrovamento dell'interruttore fra le macerie dei Prati di Caprara.

Il dispositivo

L'interruttore quindi, il possibile oggetto che, di quella strage, fu il click definitivo che trasformò la stazione di Bologna nel teatro di una carneficina: descritto come un piccolo dispositivo con una levetta on-off e con una “deformità che lo fa ritenere molto vicino all'esplosione”. Ma anche di una fattura che “secondo chi scrive non aveva ragione di esserci” all'interno della sala di attesa di una stazione ferroviaria. Un dispositivo, peraltro, ritenuto dai periti simile a quelli trovati, rispettivamente, nell'ordigno destinato a Tina Anselmi e in quello requisito a Margot Christa Frohlich (circostanza non di secondo piano visto che il nome della terrorista tedesca spuntò fuori nell'inchiesta parallela sulla “pista palestinese”) nel giorno del suo arresto a Fiumicino, nel 1982. Un congegno descritto con “la levetta on/off che pare essere di tipo comune. Non riporta alcuna scritta identificativa ed è simile ad alcune usate nell'industria automobilistica per attivare, ad esempio, luci o tergicristalli”.

Elementi sospetti

La perizia, parlando del meccanismo di innesto, si sofferma anche della composizione della bomba, confermando come essa fosse costituita “da Tnt e T4 di sicura provenienza da scaricamento di ordigni bellici e da una quantità apprezzabile di cariche di lancio (che giustifica la presenza di nitroglicerina e degli stabilizzanti rinvenuti)”. E si specifica, inoltre, che “se c'era un dispositivo tra la sorgente di alimentazione e l'innesco, questo poteva essere un timer meccanico. Non si esclude però, in via ipotetica, che l'interruttore di trasporto fosse difettoso o danneggiato”, circostanza che avrebbe addirittura potuto “determinare un'esplosione prematura-accidentale dell'ordigno”. Il che, in sostanza, significherebbe che l'interruttore sarebbe scattato in fase di trasporto e indurrebbe a rivedere la presenza a Bologna, quel giorno, di persone ritenute vicine ai gruppi terroristici a cui faceva capo la stessa Frohlich, oltre che Thomas Kram. Inoltre, tornando sulla questione del materiale compositivo, i periti hanno spiegato che “non si può escludere completamente la presenza di una percentuale di gelatinato a base di nitroglicerina”. Una conferma, secondo il legale dei familiari delle vittime, Andrea Speranzoni, “di quanto dichiarato dai pentiti, come Sergio Calore e Paolo Aleandri”, riportando dopo anni l'attenzion sul terrorismo di destra che, in quegli anni, secondo i legali avrebbe fatto uso proprio di quel tipo di miscela.

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