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“Stepfamily”: quando l'inglese “sana” le ipocrisie

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Intervenendo in occasione degli “Stati generali della lingua italiana“, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha invitato a non avere paura delle “contaminazioni” derivanti dal confronto continuativo con altri idiomi, tipico dell'era della comunicazione di massa. In Italia i termini inglesi sono utilizzati non solo per sfoggiare la propria cultura o per seguire la tendenza ed essere, quindi, “trendy”; spesso, infatti, sono gli elementi di una nuova nomenclatura più accattivante e morbida, al fine di rispettare, a tutti costi, i dettami del “politicamente corretto” e di offuscare il significato di un determinato concetto.

Ipocrisia

Tale abitudine si rispecchia anche a livello governativo e istituzionale; lo si è visto, a esempio, con la questione della “stepchild adoption” (l’adozione di un figlio da parte del partner del genitore biologico in caso di unioni civili o di matrimonio). Altri anglicismi ormai entrati nell’uso comune sono: ape social, scouting, fake news, tutoring, jobs act, competitor e spending review. Il rischio di questa forzata “igiene verbale” (a volte perseguita senza ricorrere a termini inglesi ma a sinonimi italiani un po’ forzati) è di scadere nell’ipocrisia e nel goffo tentativo di celare alcune criticità agli occhi della pubblica opinione.

In famiglia

La nuova tendenza pervade anche altri importanti aspetti della socialità, in particolare quelli riguardanti la nuova fisionomia delle relazioni sentimentali e delle cosiddette “famiglie ricostituite”, quelle in cui un uomo o una donna si risposano. Stepdad (o stepfather) è, infatti, l’ennesima definizione inglese per un termine italiano non più in voga o stridente con la nuova definizione più accattivante. Si tratta della traduzione del vocabolo “patrigno”, un termine di per sé con un suono e un suffisso più negativo. Con un’operazione dialettica e semantica, tendente anche in parte a ripulire coscienze, il nuovo marito della madre (stepfather è più formale) diventa, così, il nuovo “babbo” o “padre” del bambino. E’ vero anche al contrario: stepmum o stepmother (matrigna). Per semplificare, i termini sono a volte utilizzati anche per definire il nuovo “compagno/a” o “fidanzato/a”, senza che ci sia la celebrazione di un nuovo matrimonio.

Dati

La circostanza, in passato, avveniva quasi sempre per il decesso di uno dei coniugi, ora, con l’aumentare dei divorzi, sono subentrate altre dinamiche e altre esigenze, con un peso enorme nella società, da non sottovalutare. Per avere, infatti, un’idea sul numero crescente dei matrimoni sciolti in Italia basta riferirsi ai dati statistici istituzionali. L’Istat precisa che, dalla fotografia della popolazione al primo gennaio 2018, “aumentano in tutte le età divorziati e divorziate, più che quadruplicati dal 1991 (da circa 376 mila a oltre 1 milione e 672 mila), principalmente nella classe 55-64 anni (da 0,8% a 5,3% gli uomini, da 1,0% a 6,4% le donne)”. Sempre l’Istat conferma come in Italia, nel 2015, si siano verificati circa 82.500 divorzi, con una maggiorazione del 57% rispetto al 2017. In questo, a onor del vero, ha influito anche la cosiddetta legge sul “divorzio breve” (legge del 6 maggio 2015, n. 55) che ha ridotto notevolmente i tempi di richiesta: non più 3 anni dopo la separazione ma 12 mesi in caso di giudiziale e 6 in caso di consensuale.

La lingua aiuta

Si innestano, così, dinamiche molto complesse, in cui il nuovo padre o la nuova madre devono sapersi muovere in maniera responsabile, senza mettersi in competizione con i genitori biologici (né ponendosi in contrasto con i loro insegnamenti di vita), instaurando un buon rapporto con il figliastro/a, senza scendere a qualsiasi patto per accattivarsene comunque i favori. Di conseguenza, come ausilio, si generano i sinonimi per tutte le figure: da stepfamilies per famiglie allargate a stepbrother e stepsister al posto dei più sgradevoli fratellastro o sorellastra, sino a stepson e stepdaughter per figliastro/a. Stepgrandfather e stepgrandmother si riferiscono ai nonni.

Invito a riflettere

Tutto questo notevole sforzo terminologico si rende necessario per minimizzare il più possibile l’impatto del nuovo partner dinanzi ai pargoli, per farlo accettare maggiormente con questi appellativi trendy, alla moda, quasi da vanto e sentirsi la coscienza più a posto. L’intento è anche quello di rimettere ordine in una situazione un po’ complessa in cui si possono generare alcune sfumature di identità non solo tra i piccoli. Sarà vera gloria? Uso e abuso, quindi, del suffisso inglese step, il cui significato originario (orfano, privato), proviene dal termine arcaico steop. Accanto alla necessità di termini più affascinanti per indorare la pillola e mostrare al bambino la nuova situazione come la migliore possibile, l’uso di queste parole e locuzioni (oltre a ignorare l’adeguata presenza di vocaboli italiani per illustrare un concetto) in genere è abilmente finalizzato a non rendere completamente chiare un’idea o un’iniziativa, serbando, volutamente, alla cittadinanza, confini interpretativi più ampi e confusi.

Marco Managò: