Come ogni anno, anche questo 18 dicembre si celebra la Giornata Internazionale del Migrante. La ricorrenza è stata istituita nel 2000 dalle Nazioni Unite in un momento storico in cui era da poco iniziata la grande ondata di migrazioni con cui abbiamo a che fare ancora oggi. L'ingresso nell'era della globalizzazione ha reso consequenziale l'intensificazione della mobilità dei popoli, congiuntamente a quella delle merci e delle informazioni.
L'esodo di italiani
Lo si è visto, ad esempio, con l'esodo di giovani italiani mandati a studiare con sempre maggiore frequenza nelle università nordeuropee o americane: secondo un rapporto dell'Unesco risalente al 2015, più del 3% della popolazione studentesca nazionale si è iscritta in atenei esteri. E' ragionevole pensare, visto il trend di costante crescita rispetto al 2006 quando la percentuale era ferma all'1%, che questo dato sia ulteriormente progredito. La possibilità di scegliere per i propri figli una formazione ritenuta più completa ed efficace viene considerata una delle opportunità che è stata in grado di offrire la globalizzazione.
L'altro lato delle migrazioni
L'altro volto della globalizzazione, così lontano eppure così vicino dei voli in low cost dei nostri connazionali che partono alla ricerca di un futuro brillante, è quello costituito dalle migliaia di disperati che affollano i barconi dei viaggi della speranza. Alla base c'è la stessa rivendicazione del diritto ad una migliore prospettiva di vita. Mentre, però, il primo flusso viene visto come un'”opportunità”, per il secondo si ragiona in termini di “problema”. Ed è inevitabile perché – solo per quello che riguarda la rotta mediterranea – oltre 30mila persone hanno perso la vita nelle acque del “Mare Nostrum” dal 2000 ad oggi. Questi numeri confermano che si è di fronte al più grande dramma dell'epoca contemporanea. Una tragedia che merita rispetto ed attenzione; per questo sarebbe sbagliato liquidare la Giornata Internazionale del Migrante a suon di retorica e slogan paternalistici.
La difesa della vita umana al primo posto
Occorre chiedersi se davanti ad un dramma di queste proporzioni sia più utile un approccio ideologico o se non sia preferibile, piuttosto, una dose di sano realismo che metta al primo posto la difesa della vita umana. Quest'ultimo, infatti, rimane il principio di riferimento con il quale chiunque è chiamato a confrontarsi per quanto riguarda il fenomeno migratorio. La tutela della dignità umana impone la ricerca di soluzioni per prevenire l'immigrazione illegale e, soprattutto, per debellare quelle che San Giovanni Paolo II chiamava le “iniziative criminali che sfruttano l'espatrio dei clandestini”. I diritti della persona vengono costantemente messi in pericolo nelle traversate del deserto, sulle carrette dei mari, a bordo di camion sovraccarichi.
L'esperienza dei corridoi umanitari
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo sul delicato tema ha ricordato come debbano essere sempre garantite le “condizioni generali di sicurezza e di rispetto della dignità umana”. Queste sono anche le linee guida del progetto “Corridoi umanitari” nato con l'intento di consentire a chi scappa da guerre, persecuzioni o carestie di poterlo fare in piena sicurezza e legalità. Si tratta di un'iniziativa pensata e realizzata nel mondo dell'associazionismo cristiano, supportata dall'impegno dei volontari e immune da facili polemiche visto che – essendo autofinanziata – non va a gravare sulle tasche dei contribuenti. Quello dei corridoi umanitari può rappresentare uno di quei “modelli di soluzione concreti e realizzabili” che Papa Francesco ha auspicato per la gestione dei flussi. Un esempio lodevole non solo perché tutela la salute e la dignità dei rifugiati, ma anche perché colpisce contemporaneamente gli interessi di chi gestisce il business criminale legato al traffico di esseri umani. Tra i benefici che i corridoi umanitari comportano merita di essere menzionato anche il loro risvolto ecumenico: promotori di questo progetto, infatti, non sono soltanto associazioni d'ispirazione cattolica, come la Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi o Sant'Egidio, ma anche comunità protestanti, come la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia e la Tavola Valdese. L'impegno umanitario su questo fronte diventa, così, un'occasione di collaborazione proficua tra appartenenti a confessioni differenti.
La collaborazione con le istituzioni
La realizzazione di questo progetto, inoltre, richiede un'indispensabile gioco di squadra con le istituzioni, in particolare con i ministeri dell'Interno e degli Affari Esteri. Già dal primo esperimento concretizzatosi nel dicembre del 2017 con l'atterraggio di 162 persone liberate da un campo libico – in prevalenza donne e bambini – si è vista all'opera una piena collaborazione tra associazioni, Unhcr, governo italiano e Cei. Il cambio di esecutivo non ha comportato l'interruzione di questa pratica. Lo si è visto lo scorso novembre quando 51 persone partite dal Niger – individuate tra le più vulnerabili dall'Alto Commissariato delle Nazioni Uniti per i rifugiati – sono sbarcate nell'aeroporto militare di Pratica di Mare, accolte dal ministro dell'Interno Matteo Salvini e da Giovanni Paolo Ramonda e don Aldo Buonaiuto dell'Associazione Papa Giovanni XXIII, promotrice dell'iniziativa. Quella dei corridoi umanitari è una soluzione che convince anche il governo gialloverde; nell'occasione di Pratica di Mare, infatti, il titolare del Viminale ha detto che il suo obiettivo è “spalancare le porte d'Italia a chi scappa dalla guerra“, preannunciando, inoltre, che quello sarebbe stato solo “il primo di una serie di aerei”. Proprio domani nello stesso scalo militare in provincia di Roma atterrerà un altro velivolo con a bordo un gruppo di rifugiati provenienti dalla Libia. Sono 105 le persone che arriveranno in Italia in piena sicurezza dal Paese nordafricano, nella quasi totalità donne e bambini. Il corridoio umanitario è promosso dal Viminale e predisposto dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, con il sostegno della Papa Giovanni XXIII che si occuperà dell'accoglienza.
Sicurezza per chi arriva e per chi accoglie
I corridoi umanitari rappresentano una garanzia di sicurezza non solo per i migranti, ma anche per i Paesi che li accolgono dal momento che il principale criterio di selezione consiste nella vulnerabilità. Per questo, la maggioranza delle persone che arrivano in Italia attraverso quest'iniziativa è costituita da famiglie, donne, bambini e malati. Papa Francesco e i suoi predecessori prima di lui, di fronte all'emergenza legata ai flussi migratori, hanno sempre indicato nella cooperazione internazionale la strada da seguire per salvaguardare la vita delle persone e combattere l'illegalità. L'alternativa incarnata dai corridoi umanitari, operando esattamente in questo ambito, concretizza le indicazioni e gli auspici della Chiesa e rimette al centro della scena la tutela della dignità del migrante, proponendosi come un valido strumento per sconfiggere l'immondo traffico di esseri umani. Una risposta concreta ad un problema reale, molto lontana dalla fumosità di chi afferma ripetutamente – quasi in tono compiaciuto – che “le migrazioni non si possono fermare” ma talvolta non utilizza la stessa determinazione per ricordare quanto sia necessario impedire i viaggi della disperazione su camion e barconi. Come ricordava San Giovanni Paolo II, “la necessaria prudenza che la trattazione di una materia così delicata impone non può sconfinare nella reticenza o nell'elusività; anche perché a subirne le conseguenze sono migliaia di persone, vittime di situazioni che sembrano destinate ad aggravarsi, anziché a risolversi”.