Due anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, a un solo anno, o poco più, dal referendum che sancì la nascita della Repubblica italiana, l'Assemblea costituente, formata dai rappresentanti delle maggiori forze politiche del Dopoguerra, stilò per la neocostituita repubblica una Costituzione nella quale convogliare tutte le speranze di un popolo distrutto dal conflitto e più che mai bisognoso di riconquistare la propria serenità sociale. Diciotto mesi di lavori, di contribuiti culturali e politici da parte della nuova-vecchia classe dirigente di una nazione che, attraverso il testo della Costituzione, si poneva gli obiettivi e le linee guida del suo percorso di resurrezione: 12 principi fondamentali, 139 articoli in tutto, da osservare non solo per dare linfa vitale a una Repubblica nata appena un anno prima ma anche per fornire ai suoi cittadini gli strumenti per affrontare il duro esame post-bellico. Settant'anni dopo la sua promulgazione, il testo cardine dello Stato italiano ha conosciuto riforme più o meno incisive: solo un anno fa, però, un tentativo di riforma promosso attraverso un referendum fallì, costando un Governo.
L'Assemblea costituente
I padri fondatori non stilarono un documento scolpendolo nella pietra ma lasciando spazio ai posteri per ritoccarlo, adeguarlo ai tempi, pur preservando i suoi principi incrollabili che ne costituiscono l'ossatura verticale. Nel 1947, negli attimi successivi alla votazione, a regnare era stata la commozione non tanto per la schiacciante maggioranza (453 favorevoli alla promulgazione su 515) quanto per la consapevolezza di aver appena reso valido il testo che avrebbe significato la restaurazione della democrazia dopo due decenni, il quale avrebbe dovuto infondere negli italiani la giusta guida per esorcizzare l'ombra del fascismo e ricostituire l'operosità di quel nucleo sociale fortemente deteriorato dai 4 anni al fronte e da una feroce occupazione. In quel documento, vennero convogliati gli sforzi del disgregato Comitato di liberazione nazionale, ora rappresentato separatamente dalle varie forze politiche messe al bando dal regime e riunite, almeno idealmente, sotto l'unico vessillo della Resistenza. In tre uscirono trionfanti dalle elezioni dell'Assemblea costituente: la Democrazia Cristiana che, con il 35,2% dei voti, si aggiudicò 207 seggi; il Partito socialista, il quale ottenne il 20,7% dei voti e 115 seggi; il Partito comunista, 18,9% e 104 seggi.
Lavoro congiunto
Va da sé che, in un contesto di totale distruzione, fisica e morale, il testo costituente non poteva fornire tutte quelle risposte che il popolo italiano richiedeva, reduce dalla provante esperienza della guerra e alla ricerca di un impulso di rinascita solo in parte veicolato da un referendum che, ponendo fine alla monarchia, aveva portato in dote una buona dose di ulteriori dubbi sull'immediato avvenire. Anche per questo il compito dei padri costituenti si rese complesso: il testo della Costituzione non avrebbe dovuto soltanto rappresentare uno strumento di tutela e di diritto ma anche la giusta propulsione per la rinascita lavorativa e sociale del Paese. Uno scopo concepibile solo attraverso un lavoro congiunto, che accantonasse ancora un momento le ideologie sopite per lungo tempo sotto la soffocante cenere del fascismo e utilizzasse il sangue versato durante la Resistenza quale base unificatrice per la ricostruzione giuridica e democratica dell'Italia.
Un testo fondante
Probabilmente, a distanza di settant'anni è questo a rendere davvero preziosa la Costituzione stilata all'indomani della più buia epoca della nostra storia: l'aver saputo, almeno in quei giorni, ragionare in un'ottica che non fosse politica ma volta alla creazione di un'ossatura sociale che garantisse il giusto equilibrio fra diritti e doveri della futura democrazia. Un compito che non necessitava di bandiere né di emblemi partitistici ma di una piena condivisione di valori e ideali: a tutela di questa preziosa impalcatura, la creazione della Corte costituzionale che avrebbe garantito “la difesa dei diritti e delle libertà fondamentali ma non a preclusione dei progressi ulteriori del popolo italiano verso una sempre maggiore dignità dell’uomo, del cittadino, del lavoratore”. Un documento, quindi, concepito sì per durare nel tempo ma anche per attagliarsi al suo trascorrere: e chissà che, in un momento storico nel quale le nuove generazioni rincorrono attraverso impensabili percorsi le risposte alla corrente crisi demagogica, la soluzione non possa trovarsi nel testo portante della nostra nazione e nella riscoperta del contesto storico e culturale nel quale venne scritto.
Il fallimento dell'ultimo referendum potrebbe, in questo senso, essere un esempio della fragilità dell'attuale classe politica: la mancanza di quella comunione d'intenti che portò, in 18 mesi, alla creazione di una Costituzione da offrire quale base fondante del Paese. Se il 1947, infatti, segnò l'inizio del percorso del nostro testo fondante, è altrettanto vero che nessun eventuale tentativo di modifica può essere effettuato con prove di forza di leader o partiti ma attraverso uno sforzo comune che, indubbiamente, richiede una grande maturità politica.