Ci sono contesti specifici nei quali il saluto romano non può essere considerato un fatto di “lieve entità”. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione confermando la condanna a un mese e dieci giorni di reclusione con pena sospesa per Gabriele Leccisi, avvocato neomissino milanese.
Il fatto
L'8 maggio 2013 fece il saluto fascista a Palazzo Marino – sede del Comune di Milano – mentre in seduta pubblica l'amministrazione allora guidata da Giuliano Pisapia organizzava una sistemazione per i nomadi sgomberati dal campo di viale Ungheria. Senza successo l'avvocato Lamberto Rongo, legale di Leccisi, ha chiesto la non punibilità facendo presente che quel giorno si discuteva il “piano Rom” in una “importante seduta consiliare”. Ma per la Cassazione, “sono proprio le circostanze di tempo e di luogo” del gesto “a non consentire di ritenere sussistenti le condizioni” per applicare l'esimente.
La decisione
Nel negare il beneficio, la Suprema Corte rileva che la riunione, presieduta da Mirko Mazzali di Sel, si svolgeva mentre era in corso una manifestazione antirom “organizzata dallo stesso Leccisi, in piazza San Babila”, storico luogo dei raduni neofascisti negli anni di piombo. L'episodio è documentato da un video – realizzato da una giornalista – che dimostra che Leccisi “effettuava il 'saluto romano'” e diceva pure “presenti e ne siamo fieri” e questo, secondo gli ermellini, evidenzia la sua “precisa volontà” di “rivendicare orgogliosamente il suo credo fascista“. Inneggiare al fascismo è vietato dalla legge Mancino perchè rievoca una ideologia basata su “valori politici di discriminazione razziale e intolleranza“, prosegue la Cassazione aggiungendo che il “saluto fascista” seguito dalla parola “presente” è una “espressione gestuale pregiudizievole dell'ordinamento democratico e dei valori che vi sono sottesi”. Inoltre, per la Cassazuibe, questo saluto è “usuale di organizzazioni o gruppi inequivocabilmente diretti a favorire la diffusione di idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico“.