Quindici anni sono bastati per rendere Roma una città ancora più multietnica. Secondo il Censis gli stranieri che vivono nella Capitale sono raddoppiati (+115%9 e sono il 12,7% della popolazione. Sono 363.563 i non italiani iscritti in anagrafe nella capitale nel 2014. L’incidenza degli stranieri sulla popolazione romana totale è salita dal 6% del 2000 al 9,5% del 2007, fino al 12,7% del 2014. E’ quanto emerge dal terzo numero del diario “Roma verso il Giubileo”, che ha l’obiettivo di cogliere e descrivere i principali temi nell’agenda cittadina in vista dell’Anno Santo. I numeri precedenti sono stati: “Roma: in forte aumento i reati predatori” (12 maggio 2015) e “Roma bloccata nel traffico, tallone d’Achille della capitale” (26 maggio 2015). Sono 185 le comunità straniere presenti in città. La più numerosa è quella dei rumeni (88.384 persone nel 2014, il 24,3% degli stranieri a Roma), seguono i filippini (40.443 presenze, l’11,1% del totale), poi i bangladesi (28.473 presenze, il 7,8%), i cinesi (16.079 presenze, il 4,4%) e i peruviani (14.271 presenze, il 3,9%). È un politeismo comunitario radicato nelle pieghe della vita quotidiana della città. Senza stranieri Roma avrebbe registrato negli ultimi anni un forte declino demografico. Dal 2000 a oggi, mentre gli stranieri aumentavano del 115%, gli italiani sono diminuiti del 5,2% (138.000 persone in meno). Il saldo demografico per la città è quindi positivo (+2%, ovvero 56.000 persone in più) proprio grazie alla presenza immigrata.
I territori della capitale con la maggiore presenza di stranieri residenti sono il Municipio I, con l’Esquilino e i dintorni della stazione Termini (51.296 persone, ovvero 36 stranieri ogni 100 italiani), la zona di Torre Maura-Torre Angela (Municipio VI, con 48.517 presenze, pari a 23 stranieri ogni 100 italiani), il Prenestino-Casilino (Municipio V, con 36.168 presenze, cioè 17 stranieri ogni 100 italiani), Tor di Quinto-Prima Porta (Municipio XV, con 27.918 presenze, ovvero 22 stranieri ogni 100 italiani), l’Appio-Tuscolano (Municipio VII, con 26.813 presenze, 10 ogni 100 italiani). In due zone urbanistiche vivono più stranieri che italiani: Trastevere, con 108 stranieri ogni 100 italiani, e Martignano, con 105 stranieri ogni 100 italiani. Molto alta la presenza straniera anche nelle zone di Villa Pamphili (95 stranieri su 100 italiani), nel Centro storico (89 stranieri ogni 100 italiani), nella Zona archeologica (85 stranieri ogni 100 italiani) e a Torre Spaccata (62 stranieri ogni 100 italiani).
Oltre il 70% dei 94.000 stranieri in più iscritti in anagrafe negli anni più recenti, tra il 2007 e il 2014, si concentra in soli 5 Municipi su 15: il Municipio VI (Torre Maura-Torre Angela) ne ha accolto il 29%, il Municipio I (Centro storico) il 13,8%, il Municipio V (Prenestino-Casilino) il 12,6%, il Municipio VII (Appio-Tuscolano) l’8,8%, il Municipio X (Ostia-Acilia) il 7,2%. Solo tre Municipi hanno assorbito quasi il 56% dell’incremento di stranieri. Nel Municipio VI (Torre Maura-Torre Angela) la variazione nel periodo 2007-2014 è stata pari a +128,4%. Spiccano le microcomunità di Torre Spaccata, con 62 stranieri ogni 100 italiani e un decollo da 574 a 8.607 stranieri tra il 2007 e il 2014, e Lunghezza, dove si è passati da 1.260 a 4.444 stranieri, con un incremento del 252,7%. Le esperienze delle banlieue parigine e delle innercities londinesi indicano l’alto rischio di disagio etnico se la concentrazione territoriale degli stranieri aumenta fino all’eccesso.
Le madri straniere a Roma sono aumentate del 51,6% tra il 2007 e il 2014. Nell’ultimo anno sono state 5.396, pari al 22,5% del numero totale delle donne che hanno partorito nella capitale, mentre erano il 14,5% nel 2007 e solo l’8,2% nell’anno del Giubileo del 2000. L’incremento maggiore si registra nel Municipio VI (Torre Maura-Torre Angela: +517% nel periodo 2000-2014), dove nell’ultimo anno ci sono stati 858 nuovi nati da madri straniere (il 29,1% del totale delle nascite nel Municipio). Segue il Municipio V (Prenestino-Casilino): +181% di madri straniere, con 657 nuovi nati nel 2014 (il 32% del totale). Con la crescente presenza degli stranieri, Roma oggi è segnata da una crescente articolazione delle confessioni religiose. I residenti a Roma sono per il 30% ortodossi, per il 27,9% cattolici, per il 20% musulmani, per il 6,4% buddisti, induisti o di altra religione orientale, per il 6,1% protestanti, mentre la religione ebraica è propria dello 0,2%. Tolleranza e rispetto connotano l’atteggiamento dei romani: 1,7 milioni dichiarano di rispettare le tradizioni culinarie che fanno capo a precetti di altre religioni come nel caso dell’halal e del kosher.
La tavola dei romani riflette in modo paradigmatico il politeismo sociale e culturale di Roma. Sono 1,7 milioni i romani che mangiano prodotti etnici appartenenti a culture alimentari lontane (giapponese, cinese, indiana, messicana, ecc.). Sono 1,6 milioni quelli che abbinano ingredienti italiani a prodotti provenienti da altri Paesi (soia, tofu, riso basmati, quinoa, ecc.). E sono 1,5 milioni quelli che frequentano locali e ristoranti di cucina etnica. Sono numeri che descrivono un’apertura culturale quotidiana, profondamente radicata nella comunità cittadina. Sono poco meno di 9.000 i rom che vivono a Roma, molti dei quali con cittadinanza italiana, di cui quasi la metà in contesti informali come i campi abusivi e non attrezzati. Sebbene Roma assorba più della metà dei rom del Lazio, che è la regione che ne conta di più in Italia, rappresentano lo 0,3% della popolazione residente: una incidenza molto più bassa di quella che si riscontra in Paesi come la Grecia (2%), la Spagna (1,8%) o la Francia (0,6%). I rom sono destinatari di politiche pubbliche che impiegano il 90% delle risorse assegnate per riprodurre strutture e remunerare personale, e poche risorse residue per promuovere attivamente la fuoriuscita dalla marginalità. I rom sono inchiodati a una cattiva reputazione sociale come effetto combinato di stereotipi razzisti e contiguità con la microcriminalità. Da sempre in pole position come capro espiatorio dei mali di Roma, solo la non facile miscela di regole certe, rigore contro ogni forma di illegalità e rispetto delle scelte di vita ne faranno un’altra componente positiva della convivenza pluralista nella capitale.