Quella della lotta tra politica e magistratura è una vecchia storia di polemiche e veleni. Il braccio di ferro che da sempre oppone chi fa le leggi e chi ha il dovere di farle rispettare, in omaggio al principio che tutti sono uguali dinanzi all’ordinamento. Il passaggio alla Camera della riforma del decreto Vassalli ha rinfocolato un incendio e rischia di innalzare un muro tra due poteri fondamentali dello Stato, che da troppo tempo si guardano con vicendevole sospetto.
Due sono le norme del testo attorno a cui si dibatte con maggior impeto: il venir meno del filtro dell’ammissibilità dei ricorsi sulla responsabilità civile e la possibilità di poter usare per decidere anche il travisamento del fatto e della prova da parte del giudice. “Questa legge va contro i cittadini, soprattutto quelli più deboli” ha tuonato il presidente dell’Anm, Rodolfo Sabelli. Già ieri il sindacato della magistratura aveva parlato di “pessimo segnale nel momento in cui dilaga la corruzione”.
Come a far intendere che il provvedimento possa essere usato dalla politica per mettersi al riparo da inchieste scomode. A nulla sono servite le rassicurazioni del ministro della Giustizia, Andrea Orlando, e le aperture su possibili modifiche future ove la normativa non dovesse funzionare. “Renzi ci mette le dita negli occhi per punirci” ha esclamato Enrico Consolandi nel corso di un’agitata riunione al palazzo di Giustizia di Milano, gli fatto eco il presidente dell’Anm locale, Federico Rolfi, “non è vero che è stata l’Europa a chiederci questa legge sciagurata. Il rischio è quello di entrare in un loop se chi è condannato per la responsabilità civile a sua volta si rivale su chi l’ha condannato”.