A tre giorni dal voto per il Sì arriva l’endorsement più pesante: quello di Romano Prodi, considerato il padre nobile del Pd. Un scelta, quella del “Professore“, che fa sorridere Matteo Renzi e spiazza i leader della minoranza Pd, da Massimo D’Alema a Pierluigi Bersani, schierati con il No. Anche perché rischia di avere un effetto dirompente sull’elettorato di sinistra, per il quale l’ex premier rappresenta il simbolo dell’antiberlusconismo, oltre a essere il fondatore dell’Ulivo, la grande coalizione tra Ds e Margherita che ha aperto la strada al partito unico.
Nelle 3 mila battute, scritte dal suo studio di Londra, con cui Prodi ha motivato la sua decisione c’è un passaggio emblematico: “Quanto al contenuto della riforma voglio solo ricordare che la mia storia personale è stata tutta nel superamento delle vecchie decisioni che volevano sussistere nonostante i cambiamenti epocali in corso. Questo era l’Ulivo. La mia vicenda politica si è identificata nel tentativo di dare a questo Paese una democrazia finalmente efficiente e governante: questo è il modello maggioritario e tendenzialmente bipolare che le forze riformiste hanno con me condiviso e sostenuto”. Se si espone, alla fine, è dunque per quello status storico di “riformatore“.
Anche se in realtà è poco convinto della qualità della riforma cui dirà sì, domenica, al punto di sottolineare: “Mentre scrivo queste righe mi viene in mente mia madre che, quando da bambino cercavo di volere troppo, mi guardava e diceva: ‘Romano, ricordati che nella vita è meglio succhiare un osso che un bastone‘”. Succhiare un osso, modo antico di turarsi il naso. E quel richiamo familiare aggiunge un indizio. Proprio in famiglia, dove per altro la nipote Silvia Prodi, consigliera regionale Pd, è decisissima a votare No, sarebbero state vinte le iniziali resistenze dello stesso leader riformista ad assecondare le riforme proposte, “anche se non hanno certo la profondità e la chiarezza necessarie”.