Quindici milioni di poveri. Questo il bilancio, tracciato dall’Inps nel Rapporto 2014, di sei anni di crisi che hanno investito l’Italia. Ad essere colpita è stata tutta la popolazione ma sono state soprattutto le fasce più deboli ad avere la peggio. Il 10 per cento più povero della popolazione ha sperimentato tra il 2008 e il 2013 una riduzione reale del proprio reddito vicino al 30%. Inoltre, la continua perdita di posti di lavoro e la mancanza di una vigorosa ripresa economica stanno aumentando i tassi di povertà anche per quei gruppi solitamente poco esposti a tale rischio, come le coppie senza figli, le persone tra i 40 ed i 59 anni e le famiglie del Nord Italia.
REDDITI: In termini reali il reddito disponibile equivalente del 10 per cento più povero della popolazione italiana si e’ ridotto di oltre il 27% rispetto al 2008, mentre quello del 10 per cento più ricco ha subito una caduta significativamente inferiore, pari a poco più del 5%. Inoltre, il decile mediano, ovvero il 10 per cento della popolazione collocato al centro della distribuzione dei redditi, ha subito una riduzione simile a quella del decimo più agiato. La quota di persone povere è aumentata significativamente, passando in soli 6 anni dal 18 al 25 per cento della popolazione, ovvero da 11 a 15 milioni. Allo stesso tempo, la diseguaglianza dei redditi è cresciuta a tassi sostenuti, con un incremento dell’indice pari al 39% tra il 2008 e il 2013. Non solo il numero di poveri e’ aumentato drasticamente ma il loro reddito disponibile si è ridotto in termini reali di quasi il 30 per cento, un valore molto più alto rispetto al resto della popolazione. Un terzo dei poveri in Italia si trova in una condizione di grave deprivazione materiale.
CINQUANTENNI: Le persone povere che nel 2013 hanno avuto difficoltà a mantenere l’abitazione sufficientemente calda sono aumentate di 12 punti percentuali rispetto al 2008 (dal 25 al 37 per cento), mentre la quota di persone povere che non riesce a permettersi una alimentazione adeguata e’ aumentata di oltre 10,4 punti percentuali (dal 17 per cento al 28 per cento) cosi come e’ in forte aumento la quota di persone povere che non riesce più a far fronte a spese impreviste anche di piccola entità. Nel 2013 il profilo di rischio è invece diverso, la crisi economica ha, infatti, aumentato proporzionalmente di più i poveri nella fascia di età tra i 40 e i 59 anni (con incrementi percentuali di oltre il 70% nella fascia 50-59), mentre le persone già fuori dal mercato del lavoro, tipicamente le persone con piu’ di 70 anni, sono quelle che hanno sofferto meno gli effetti della crisi.
FAMIGLIE: Le tipologie familiari maggiormente a rischio di povertà sono quelle monoparentali, le persone sole con più di 60 anni e le coppie con più di 2 figli. Il rischio di povertà invece è relativamente basso tra le coppie senza figli con meno di 60 anni e tra quelle numerose di soli adulti. La presenza di figli aumenta il rischio di povertà, come mostra la crescita dei tassi di povertà al crescere del numero di figli.
NORD E SUD: La distanza tra i tassi di povertà tra Nord e Sud era nel 2008 di 24 punti percentuali (11% al Nord e 35% al Sud). Tra il 2008 e il 2013 tale divario e’ ulteriormente aumentato, arrivando a circa 30 punti percentuali (14% al Nord e 43% al Sud). Tuttavia, osservando la variazione percentuale del numero dei poveri per area geografica si puo’ notare come sia soprattutto il Nord-Est l’area del paese che ha fatto registrare gli incrementi proporzionalmente maggiori del numero di poveri (+61 per cento), seguita dal Centro (+50 per cento) e dal Nord-Ovest (+33 cento).
DISOCCUPATI CINQUANTENNI: Il rischio di povertà durante la crisi è peggiorato soprattutto per la categoria dei disoccupati. Tuttavia, tra questi, la classe di età che ha subito l’aumento relativamente maggiore del numero dei poveri sono i disoccupati con più di 50 anni, il cui numero è più che triplicato nell’arco di 6 anni. Dopo i 55 anni la probabilità media di trovare una nuova occupazione per un disoccupato che beneficia di una indennità di disoccupazione/ASpI a distanza di due mesi dalla perdita del lavoro è inferiore al 20% e tende a stabilizzarsi intorno al 45% dal decimo mese in poi di disoccupazione. Di conseguenza, quasi un disoccupato su due con più di 55 anni finisce per diventare un disoccupato di lunga durata e – una volta esaurita la disoccupazione ordinaria/ ASpI – per queste famiglie il rischio di povertà non può che, in assenza di altre forme di sostegno al reddito, aumentare a ritmi sostenuti. C’e’ una continua e prolungata perdita di posti di lavoro per i lavoratori con piu’ di 50 anni. Per questa fascia di eta’ il numero di disoccupati e’ aumentato proporzionalmente di più rispetto alle altre classi: la variazione del tasso di disoccupazione nell’arco dei sette anni è pari al 250 per cento per i 55-59enni e a quasi il 300 per cento per i 50-54enni. –
MEDIA PENSIONAMENTI: I comportamenti di partecipazione dei lavoratori in età matura si sono modificati con le modifiche legislative degli ultimi anni e il pensionamento sta avvenendo ad eta’ medie via via più elevate: nel 2007 ci si pensionava per vecchiaia o anzianita’ in media a 60,3 anni se dipendenti privati (circa 61 se autonomi), nel 2014 si accede alla quiescenza all’incirca a 62 anni (quasi 64 anni se autonomi).