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Quaranta anni fa moriva il servo di Dio Giorgio La Pira

Quaranta anni fa scompariva Giorgio La Pira. Il politico e docente italiano, Sindaco di Firenze, terziario domenicano e francescano, appartenente all'istituto secolare dei Missionari della regalità di Cristo di padre Agostino Gemelli nonché servo di Dio per la Chiesa cattolica è morto il 5 novembre 1977 a Firenze, sua città d'adozione.

La vita politica

Era nato il 9 gennaio 1904 a Pozzallo (in provincia di Ragusa, in Sicilia) secondogenito di una famiglia di umili condizioni sociali. Nel 1926 si trasferisce a Firenze seguendo il professor Emilio Betti, relatore della sua tesi di Diritto romano. Nel 1939 fonda “Principi”, rivista in lingua latina volta alla difesa dei diritti della persona umana, dove critica il fascismo e condanna apertamente l'invasione della Polonia. La rivista viene soppressa dal regime.

Nel 1946 viene eletto all'Assemblea costituente. Eletto alla Camera dei deputati nel Collegio di Firenze – Pistoia con le elezioni del 18 aprile 1948, viene nominato sottosegretario al Ministero del Lavoro e Previdenza sociale nel Governo De Gasperi V. Sarà sindaco di Firenze in due momenti: nel 1951-1957 e nel 1961-1965. 

Il ricordo

“Saggio uomo, grande sindaco che cambiò Firenze”. Così il sindaco della città gigliata Dario Nardella ha ricordatostamani l'llustre predecessore. Oggi la messa in ricordo del 'sindaco-santo', celebrata dall'arcivescovo di Firenze, cardinale Giuseppe Betori, nella basilica di San Marco. Proprio l'arcivescovo ha ricordato come la causa di beatificazione per La Pira sia arrivata a un “passaggio importante” e ha auspicato che, “visto l'interesse della Chiesa per questo straordinario personaggio, possa esserci un'accelerazione“.

Anche il segretario del Pd Matteo Renzi, che si laureò in Giurisprudenza con una tesi sulla sua vita e opera, in un'intervista ha detto che con La Pira “non c'è paragone”. “Lui – spiega Renzi ripreso da Ansa – santo lo era davvero, io rottamatore non so fino a che punto lo sono stato fino in fondo. Il paragone è improponibile”.
   

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