“Nella mia vita politica ho conosciuto molti leader e quelli che mi hanno sempre colpito sono coloro che dopo una accurata analisi e dopo consultazioni, tenendo conto di tutte le realtà, dicevano di sì o di no. E poi, solo dopo, decidevano. Come Helmut Kohl. Ma guai alla decisione che precede l’analisi, in quel caso è un colpo di cocciutaggine”. Romano Prodi sceglie il salotto di “Che tempo che fa” per spedire quello che sembra un chiaro messaggio a Matteo Renzi. Lo fa dopo la stretta di mano pacificatrice di Milano, occasione nella quale ha riconosciuto l’importante ruolo avuto dal premier in Expo. “Tutto è bene quel che finisce bene”, commenta il professore ricordano l’episodio, arrivato a due anni dai veleni della corsa al Colle.
Allora i tiratori franchi affondarono l’ex leader dell’Ulivo e sulla graticola (nel ruolo di presunto deus ex machina) finì proprio Renzi. Oggi Prodi prova a scherzarci su: “101? No, erano almeno 120 visto che avevo capito che avrei avuto 15-20 voti fuori dal Pd. Chi erano? Nessuno lo sa. E’ l’unico segreto italiano…”. In questi giorni l’ex capo del governo sta presentando il suo ultimo libro: “Missione incompiuta”, dedicato al suo Ulivo. Prodi la ricorda come un’avventura snella nelle gambe e nel programma ma che si è appesantita nel tempo a causa delle troppe anime presenti. “E’ stato un grande momento – spiega – che la gente lo ricordi. Ma il mondo è cambiato – avverte – e ognuno va per la strada”.
Il momento storico parla di un Nord Africa in fiamme e della tragedia degli immigrati. Prodi avrebbe voluto il ruolo di mediatore in Libia che gli è stato negato. “Non capirò mai il perché della guerra in Libia” dice chiamando in causa Berlusconi e Sarkozy: “o l’uno o l’altro o tutti e due forse posero il veto”. “Il mio nome era stato proposto nel 2011 da 25 capi di Stato africani e Ban ki moon rispose perfetto e disse che bisognava sentire i paesi interessati. Non arrivò alcuna risposta, Sarkozy o Berlusconi o tutte e due posero il veto”.