Un cinico disegno, nutrito di collegamenti internazionali e reti eversive, mirante a destabilizzare la giovane democrazia italiana, a vent'anni dall'entrata in vigore della sua Costituzione. Disegno che venne sconfitto”. Non usa mezze misure il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella che, nel giorno della commemorazione dei cinquant'anni, incontra a Palazzo Marino di Milano le famiglie delle vittime della strage di Piazza Fontana, fra le quali le vedove di Giuseppe Pinelli e Luigi Calabresi, parlando di “disinvolte manipolazioni strumentali del passato, persistenti riscritture di avvenimenti, tentazioni revisioniste alimentano interpretazioni oscure entro le quali si pretende di attingere versioni a uso settario, nel tentativo di convalidare, a posteriori, scelte di schieramento, opinioni di ieri”. E' una ferita aperta quella di Piazza Fontana, un massacro di fatto senza colpevoli perseguiti dalla giustizia, “una pagina triste indelebile, uno strappo lacerante recato alla pacifica vita di una comunità e di una Nazione, orgogliose di essersi lasciate alle spalle le mostruosità della guerra, gli orrori del regime fascista, prolungatisi fino alla repubblica di Salò, le difficoltà della ricostruzione morale e materiale del Paese”. Perché la bomba che esplose nella Banca nazionale dell'Agricoltura fu la linea di demarcazione fra l'Italia dell'operosità post-bellica e quella degli anni dell'eversione. E di quella strage, “l'attività depistatoria di una parte di strutture dello Stato è stata doppiamente colpevole”.
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Il Capo di Stato ha ribadito che, nonostante la sofferenza di quegli anni, “i tentativi sanguinari di sottrarre al popolo la sua sovranità sono falliti” e che “la violenza terroristica ha sottoposto a dura prova la coscienza civica dei nostri concittadini. Il comune sentimento di unità, patriottismo, solidarietà, è stato, con dolore ma con fermezza, più consapevole e più forte dopo quegli assalti”. Particolarmente toccante l'incontro con Licia Pinelli e Gemma Calabresi, rispettivamente consorti dell'anarchico morto nel 1969 cadendo dalla finestra dell'ufficio del commissario Luigi Calabresi, e di quest'ultimo, assassinato tre anni dopo dagli eversori di sinistra di Lotta Continua: “Il destino della nostra comunità non può essere preda dell’odio e della violenza. Per nessuna ragione la vita di una sola persona può essere messa in gioco per un perverso disegno di carattere eversivo. Ai parenti delle vittime qui raccolti, cui mi rivolgo con rispetto, solidarietà e affetto – e verso i quali l’Italia avverte di essere debitrice – dobbiamo saper dire che ci sentiamo legati da un vincolo morale. Italiani fra italiani, cittadini fra concittadini, per essere custodi attenti del futuro del Paese. Nella fedeltà alle istituzioni della democrazia che ci sono state consegnate dalla Costituzione”.
Un passaggio importante
Ed è proprio Licia Pinelli, a cinquant'anni dalla morte di suo marito, a rompere il silenzio definendo, in un'intervista a Radio Popolare, “quello di quest'anno è un passaggio importante, è una svolta. Ogni parola del presidente sarà un incentivo ad andare avanti per la democrazia. Parlare di mio marito Pino in un certo modo è anche un tassello per la democrazia. Non mi aspettavo che il sindaco Sala chiedesse perdono alla nostra famiglia. E' stato un bel gesto, che ci restituisce qualcosa. Io non mi aspetto niente da nessuno, quello che arriva arriva, come è avvenuto in questi cinquant'anni. Su come è morto mio marito la verità noi la conosciamo, noi le cose le sappiamo, poi se qualcuno ha voglia di parlare, parlerà”.