Il semestre italiano di presidenza del Consiglio Europeo si conclude con un successo: l’inserimento, per la prima volta, della parola “flessibilità” nel piano Juncker. “Lasciamo in eredità la crescita, non l’austerità”ha detto esultante Renzi secondo cui il piano Juncker è un compromesso e lo scorporo degli investimenti dal computo del deficit “un piccolo passo avanti per l’Italia e un grande passo avanti per l’Europa”. Insomma il bilancio è positivo, anche per lo stesso Juncker il quale ha detto che “L’azione del governo Renzi ha cambiato le cose in Italia e contribuito a cambiarle in Ue, ma non si può cambiare tutto in soli sei mesi”.
Il piano Juncker crea un nuovo fondo per gli investimenti strategici (Efsi) con lo scopo di mobilitare 315 miliardi di euro nel 2015-2017. I Paesi possono contribuire, anche se finora nessuno si è impegnato a farlo, perché tutti vogliono prima vedere i dettagli e la Commissione li presenterà a gennaio. Il vero nodo è quello della flessibilità. Secondo Renzi qualcuno non voleva nemmeno che se ne parlasse. Juncker ha circoscritto ancora di più quel riferimento: si applica solo se, a causa del contributo al piano, un Paese si ritrovasse in violazione del Patto. Ovvero: se un Paese già lo viola per altri motivi, questo non impedirebbe alla Commissione di aprire una procedura, come le regole prevedono. I contributi nazionali al fondo previsto dal piano Juncker “devono avvenire nell’ambito delle regole del Patto di stabilità, con la flessibilità prevista”,ha sottolineato Angela Merkel nella conferenza stampa alla conclusione del vertice europeo.