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“Perché non possiamo parlare di impeachment per Mattarella”

Messa in stato d'accusa o, per dirla secondo il linguaggio comune, impeachment. Parola grossa, pericolosa, brandita come clava dai partiti politici quando si ritiene che il presidente della Repubblica abbia gravemente violato le proprie prerogative. Nella storia repubblicana si ricordano i casi di Giovanni Leone e Francesco Cossiga che, rispettivamente, Pci e Pds avrebbero voluto portare alla sbarra. In entrambi i casi, tuttavia, la procedura non è stata portata a termine. L'articolo 90 della Costituzione (che disciplina l'istituto) è tornato d'attualità dopo il “gran rifiuto” di Sergio Mattarella a Paolo Savona che ha fatto saltare il “governo del cambiamento” targato M5s-Lega. Mossa con cui, secondo grillini e Fratelli d'Italia, l'inquilino del Quirinale avrebbe travalicato il perimetro costituzionale entro cui è tenuto ad agire. Ma è veramente così? Abbiamo chiesto lumi a Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte Costituzionale, organo deputato, fra le altre cose, proprio a decidere sull'eventuale destituzione del capo dello Stato se giudicato colpevole. 

Quando si può ricorrere all'istituto della messa in stato d'accusa del presidente della Repubblica?
“La Carta prevede due ipotesi sanzionabili: l'alto tradimento e l'attentato alla Costituzione. Non è, invece, chiesto che debba esistere una permanente fiducia del Parlamento nei confronti del presidente della Repubblica. Né dalle Camere possono essere messi in discussione gli atti compiuti dal capo dello Stato per garantire la sua indipendenza”. 

Quindi non ravvisa una fattispecie perseguibile con l'impeachment nella condotta mantenuta da Mattarella?
“No. Se ci fosse questa possibilità significherebbe che il Presidente è sottoposto al giudizio permanente del Parlamento. Ciò lo metterebbe nelle condizioni di cambiare posizione a seconda delle maggioranze parlamentari, pregiudicandone l'indipendenza e il ruolo di arbitro e di collocazione di garanzia costituzionale”. 

Tra le ipotesi previste dall'articolo 90, ha ricordato, c'è l'attentato alla Costituzione. E' a questa fattispecie particolare che fanno riferimento quanti vorrebbero portare il capo dello Stato davanti alla Consulta…
“La formulazione della Carta è generica. In ogni caso l'attentato non sussiste quando il Presidente usa le prerogative che gli sono proprie. L'articolo 92 prevede che il capo dello Stato nomini i ministri su proposta del premier designato. Ciò significa che interloquisce in quest'atto, com'è sempre avvenuto in passato. Non nomina sotto dettatura, né da parte del presidente del Consiglio, né da parte delle forze politiche. In questo caso, tra l'altro, Mattarella ha anche dato la motivazione per la quale ha ritenuto di non aderire alla proposta di Conte…” 

…cioè il rischio di un'uscita dall'euro. Eppure quest’aspetto non era richiamato nel contratto di governo ed era stato escluso dallo stesso Savona poche ore prima…
“Si tratta di una posizione che il candidato al ministero dell'Economia aveva più volte sostenuto. Aveva persino parlato di un 'piano B' per uscire dalla moneta unica. Idee che, da sole, avrebbero potuto generare preoccupazioni e avere ripercussioni sui mercati e sull'acquisto dei titoli di Stato da parte dei mercati internazionali e della stessa Banca centrale europea. Tant'è che il presidente Mattarella, nelle sue dichiarazioni, ha detto di aver suggerito la nomina per il Mef di una personalità con alta responsabilità politica scelta all'interno di uno dei due partiti che si accingevano a sostenere il governo. Averlo rifiutato è stata una forma di irrigidimento per costringere il capo dello Stato ad agire sotto dettatura. Le istituzioni non possono essere ostaggio dei partiti”. 

Prima ha citato l'articolo 92, secondo cui il Presidente della Repubblica nomina il capo del governo e, su proposta di questi, i ministri… Che margini di discrezionalità ha il Colle?
“La formulazione della Costituzione è sintetica ma significa che vi è, sostanzialmente, un potere uguale delle due figure. Soprattutto nell'assegnazione di alcuni dicasteri: quello della Difesa, quello degli Esteri e quello dell'Economia. E questo perché esiste un obbligo costituzionale di rispetto dei trattati internazionali, del diritto comunitario e dei vincoli di bilancio. Nell'ambito di questa cornice l'azione politica può essere la più ampia possibile e l'esecutivo può impegnarsi a modificare i trattati. Ma non può partire con il proposito di adottare misure potenzialmente dannose per il Paese”.

I precedenti di scelte condivise e veti non mancano…
“Esatto. Anche in passato il capo dello Stato ha determinato la nomina di ministri. Più volte il premier incaricato è entrato al Quirinale con una sua lista e ne è uscito con una, in parte, diversa. Il tutto avviene nell'ambito di un'interlocuzione interna tra Presidente e capo del governo. L'anomalia, in questo caso, è stata rappresentata dalla forte presenza di partiti politici, ancor prima del confronto fra le due istituzioni. C'è stata una sostanziale appropriazione di una funzione che è presidenziale”. 

L'articolo 1 stabilisce che la sovranità è esercitata nelle “forme e nei limiti della Costituzione”. L'articolo 11, da parte sua, apre a “limitazione di sovranità” in condizioni di parità con altri Stati ed è la disposizione attraverso cui recepiamo il diritto comunitario. A ciò si aggiunge la riforma costituzionale del 2012 che ha introdotto il principio del pareggio di bilancio e la necessaria armonizzazione dell'azione amministrativa con l'ordinamento Ue. Il combinato di queste norme rende, in qualche modo, Bruxelles il terzo incomodo nel momento in cui il capo dello Stato è chiamato a valutare la composizione del governo? 
“L'Unione europea non ha voce in capitolo nelle scelte. Piuttosto è lo Stato stesso a organizzarsi per adempiere agli obblighi che ha. Non si tratta di avere come riferimento indicazioni che provengono da fuori. E' l'espressione della propria sovranità che si esercita nei modi, nei limiti e con l'equilibrio tra i diversi poteri nell'adozione di provvedimenti. In questo caso, il presidente della Repubblica, come garante della Costituzione, individua le forze politiche idonee ad avere la maggioranza in Parlamento. E nel nominare i membri del governo può operare scelte conformi alle esigenze che si manifestano. Cosa che Mattarella ha fatto”.

 

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