Via libera del Consiglio dei ministri al decreto legge sulle pensioni dopo la sentenza della Consulta. Il testo contiene una misura che “consentirà dal primo di giugno di liquidare tutte le pensioni al primo giorno del mese”, come ha confermato il premier nella conferenza stampa di chiusura del Cdm. In più ci sarà un articolo “il cui effetto non sarà colto da cittadini perché non vedranno differenze” ma grazie al quale “potremo evitare la rivalutazione montante contributivo. Stante la crisi economica cioè le pensioni avrebbero dovute essere abbassate, visto il coefficiente negativo di crescita, ma con questo intervento non c’è alcun decremento. Le pensioni non si toccano e nessuno perde un solo centesimo”.
Renzi ha poi detto che “suona paradossale la critica in bocca di chi l’ha votata: noi facevamo altri mestieri, io tappavo le buche a Firenze. E’ il colmo che ora dicano che bisogna restituire tutto, è ridicolo. Noi siamo qui a correggere errori di altri”. In più il “bonus Poletti” sarà erogato a 3,7 milioni di pensionati a partire dal 1 agosto. Ad essere esclusi saranno quelli con assegno sopra 3.200 lordi al mese. “Vi ricordate quella meravigliosa parentesi rosa del Def – ha chiesto – la differenza tra 2,5 e 2,6% di deficit che voi giudicavate inesistente? C’era ma la utilizziamo per le pensioni per un totale di 2 miliardi e 180 milioni che andranno a 3,7 milioni di pensionati”.
Il premier ha spiegato il meccanismo di rimborso del decreto approvato in cdm. “Se tu prendi 1700 euro lordi di pensione, l’1 agosto il bonus Poletti darà 750 euro, se 2200euro sarà di 450 euro, se 2700 sarà di 278 euro. E’ un una tantum”. C’è poi “il tema dell’indicizzazione dal 2016: all’anno quello che guadagna 700 euro avrà 180 euro di rivalutazione, 15 euro al mese. Per gli assegni da 2.200 sono 99 euro e per quelli da 2.700 sono 60 euro all’anno”. Il premier ha anche annunciato un prossimo intervento sulle pensioni “entro la legge di stabilità”, per lasciare maggiore flessibilità in uscita e “dare un po’ più di spazio” a chi vuole andare in pensione prima rinunciando a parte dell’assegno.