Troppe volte vorrei dirti 'no', e poi ti vedo e tanta forza non ce l'ho…”. Nell'estate '73 il tormentone era la canzone “Minuetto”. Quello dell'estate 2019, invece, è un tormentone che non esce dai jukebox delle spiagge ma dai lanci d'agenzia, e non riguarda l'intricata storia di passione tra un uomo e una donna bensì la complicata alleanza di governo tra Lega e M5s. Se fino a ieri sera la rottura sembrava ormai alle porte, stamattina il rapporto pare essere stato ricucito per l'ennesima volta. Per capire quanto siano attendibili le rassicurazioni delle ultime ore, nonché gli scenari che si profilano, In Terris ha intervistato il prof. Giovanni Orsina, politologo e storico, direttore della School of Government dell'Università Luiss di Roma.
Prof. Orsina, oggi sono arrivate dichiarazioni distensive di Di Maio e Salvini: possiamo ritenere appianata la crisi di governo che sembrava imminente fino a ieri?
“Appianata del tutto non direi. È evidente un tentativo della Lega di ridefinire i rapporti di forza, per cui prevedo che Salvini qualcosa voglia ottenere: dalle notizie di oggi sembra prendersela in particolare con due ministri (Toninelli e Trenta, ndr), quindi potrebbe mettere sul piatto un rimpasto e, nel caso in cui i 5Stelle non glielo concedessero, far saltare il tavolo. Ma la situazione appare alquanto fluida: resta sempre un’ipotesi, benché debole, che il Carroccio sia costantemente alla ricerca di un’occasione per strappare, anche se in realtà si ha più l’impressione di assistere a un gioco delle parti tra forze politiche che litigano spesso e altrettanto spesso si rimettono insieme”.
Sempre oggi il sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon, ha detto che il contratto di governo “non basta più” e che “serve anche una visione d’intenti più forte”. Un segnale che il Carroccio sia alla ricerca di un’occasione per strappare?
“La pistola che Salvini può mettere sul tavolo è la crisi di governo con lo scioglimento delle Camere e le elezioni anticipate. Il punto, però, è che man mano che ci avviciniamo alla finanziaria, questa pistola diventa sempre più scarica. Il 20 luglio si chiude la finestra elettorale, più si va avanti e più diventa difficile avere delle elezioni anticipate, la prossima ipotesi di tornare alle urne sarebbe ormai febbraio, dunque dopo la legge di bilancio. È noto che, come dimostrato da Durigon, nella Lega ci sono forti mal di pancia, ma è pur vero che il sorpasso di consensi della Lega sul M5s rimane virtuale: il Carroccio quei voti li ha presi alle Europee, non in Parlamento, quindi di fatto non li può incassare”.
A proposito di Europa, perché il M5s ha votato presidente della Commissione Ue la von der Layen, considerata la quintessenza dell’establishment?
“E che dovevano fare i 5Stelle? Dalle Europee sono usciti piuttosto ridimensionati. Per fare i populisti, ossia per opporsi all’establishment, servono i voti. Ebbene, se un partito passa dal 34 al 17 per cento, il potere del consenso elettorale non ce l’ha più. E siccome il M5s ideologicamente è molto fragile, è chiaro che in questa situazione è costretto a stringere un accordo: l’establishment ha bisogno dei voti in Parlamento del M5s, ma il M5s ha bisogno di loro per non diventare irrilevante”.
In virtù di questo ragionamento, è possibile un’alleanza tra Pd e M5s in futuro?
“È possibile, ma dipende cosa intendiamo per futuro. Ad oggi le ostilità tra i due partiti sono tante, ad esempio c’è tutto il gruppo renziano dei Dem che di un’alleanza coi 5Stelle non ne vuole proprio sapere. Prima deve cambiare lo scenario politico. Un’ipotesi: se in futuro dovesse crearsi un governo di destra con all’opposizione Pd e M5s, mi aspetterei una qualche forma di convergenza tra loro”.
Per quanto riguarda il Commissario Ue che spetta all’Italia, dopo la rinuncia di Giorgetti, qual è il profilo che potrebbe essere proposto?
“L’impressione è che si stia cercando un tecnico che non dispiaccia alla Lega”.
Un Giulio Tremonti?
“Possibile, ma bisogna anche capire come sarebbe visto in ambito europeo un Tremonti. Che per altro non è un tipo controllabile, e sappiamo che i partiti tendono a indicare per certi ruoli personalità che rispondano poi alla loro linea politica. Alla fine non è da escludere che, a seguito di un rimpasto, il commissario uscirà dal governo, ad esempio un Tria”.
Mentre proseguono i mal di pancia interni a Palazzo Chigi, ci sono diversi documenti aperti di politica estera che ci riguardano. Come si colloca l’Italia nello scacchiere geopolitico attuale?
“Uno dei problemi di questo governo è che si pone in maniera ondivaga, atteggiamento che in politica estera fa sempre danno. Non è riuscito a dare un segnale chiaro, perché non ha al proprio interno un ordinamento, un’organizzazione e degli assetti di potere stabili e univoci. Ed è abbastanza evidente che una serie di soggetti importanti in ambito internazionale si stiano stancando di questo atteggiamento italiano”.
A quali evidenze fa riferimento?
“Senza voler essere cospirazionista, mi pare chiaro che la vicenda Savoini sulla cena al Metropol di Mosca è uscita perché qualcuno – ma non so chi – si è spazientito”.