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Nessuna sentenza, chiuso il caso Berlusconi

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Nessuna sentenza. La Corte europea dei diritti dell'uomo non si è pronunciata sul ricorso presentato da Silvio Berlusconi contro la decadenza da senatore, stabilita dalla legge Severino in virtù della condanna definitiva nel processo Mediaset. Vicenda giudiziaria che ha, di fatto, aperto la crisi di Forza Italia e dello stesso ex premier.

Bolla di sapone

Il ricorso di Strasburgo doveva, allora, rappresentare la riabilitazione “politica” di Berlusconi, in vista di un ulteriore impegno in prima persona. A lungo attesa, la decisione non arriverà mai. Su richiesta dello stesso leader di Fi, Strasburgo ha cancellato dal ruolo il ricorso ritenendo che nella vicenda “non vi sia alcuna circostanza speciale riguardante il rispetto dei diritti dell'uomo”. Nella breve decisione della “Grand Chambre” della Corte di Strasburgo, presieduta dalla tedesca Angelika Nussberger, i giudici ricordano che il 27 luglio del 2018, Berlusconi aveva informato la Corte della sua intenzione di non persistere nel ricorso e aveva egli stesso chiesto che il ricorso venisse cancellato dal ruolo. In quell'occasione, Berlusconi aveva messo in evidenza che, data la sua riabilitazione in Italia, un'eventuale sentenza della Corte di Strasburgo non avrebbe avuto “alcun effetto utile” essendo già venuta meno la sua incandidabilità e non potendosi stabilire “alcun risarcimento adeguato” per la perdita del mandato di senatore. 

La vicenda

Il procedimento conclusosi oggi davanti alla Corte europea dei diritti umani era iniziato col ricorso presentato il 10 settembre 2013. Due mesi dopo, il 21 novembre 2013, l'ex premier sarebbe decaduto dalla carica di senatore per il voto dell'Aula di Palazzo Madama presieduta allora da Pietro Grasso. A votare per la decadenza di Berlusconi furono 192 parlamentari che respinsero 9 ordini del giorno finalizzati a “salvare” il Cavaliere. Nell'occasione, le parlamentari di Fi si presentarono a Palazzo Madama vestite di nero per protesta contro quella che ritenevano una legge “contra personam“. Dopo il voto, il Movimento 5 Stelle – allora all'opposizione – mostrò in Aula uno striscione con su scritto: “Fuori uno, tutti a casa!”.

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