Francesca Maria Marinaro, Francesca Izzo e Licia Conte. Sono le tre esponenti del Pd, tra le fondatrici del partito, che hanno impugnato carta e penna e hanno scritto una lettera accorata al segretario Maurizio Martina in cui esprimono una forte posizione di disappunto per la nomina di Sergio Lo Giudice, attivista lgbt, a responsabile del Dipartimento tematico dei diritti civili del Pd. Le tre donne hanno così deciso di abbandonare il partito. “Ho aderito al Pci nel 1976 perché difendeva la dignità umana che per me è stata sempre la priorità – dice Francesca Marinaro, ex parlamentare europea e ex senatrice -. Ora devo prendere atto che non è più così”. Tema dello scontro è l'utero in affitto di cui l’ex senatore è un convinto sostenitore tanto da esservi ricorso due volte insieme a Michele Giarratano, al quale è unito civilmente. Le tre donne dunque proseguono: “Constatiamo con dolore che il nostro partito, sciogliendo ogni precedente ambiguità, ha fatto la sua scelta con l’affidare il Dipartimento diritti civili a una figura che ha fatto della battaglia per la legalizzazione dell’utero in affitto la propria bandiera identitaria. È stato inviato in tal modo agli iscritti, agli elettori e ai cittadini un messaggio inequivocabile: il Pd ritiene che una pratica inaccettabile rientri nel novero dei diritti civili”.
Critiche per la scelta di nominare Lo Giudice a capo di questo Dipartimento erano giunte anche domenica scorsa da Se Non Ora Quando Libere, l’associazione di cui fanno parte le tre donne, e da Arcilesbica Nazionale. “Sergio Lo Giudice rappresenta una versione distorta dei diritti civili ridotti a bella etichetta per pratiche neoliberali”, si leggeva nella missiva. Ad organizzare le difese al Nazareno è Matteo Mauri, coordinatore della segreteria del Pd: “La scelta di Sergio Lo Giudice è stata fatta per la sua autorevolezza nel mondo lgbt, per il ruolo importante che ha avuto sulle unioni civili e per la sua lunga esperienza. È evidente che quando un partito sceglie di attribuire delle responsabilità interne non significa che faccia proprie tutte le opinioni dei singoli. Tra l’altro nessuno definisce da solo la posizione del Pd. Tutti concorrono ma nessuno decide singolarmente quando si deve rappresentare le posizioni collettive. A maggior ragione su temi complessi e delicati come questi, su cui ci sono punti di vista anche molto diversi all’interno del Pd. Sono gli organismi dirigenti a scegliere, non i singoli”. Di qui l'invito di Mauri alle tre dimissionarie a ripensarci: “Spero veramente che non si traggano conseguenze affrettate. Tantomeno l’uscita dal Pd. Perché prenderebbero spunto da una premessa infondata e perché, oggi più che mai, abbiamo bisogno del sostegno e del contributo qualificato di tutte e di tutti”. Lo strappo appare, tuttavia, insanabile.