Prima il Papa, poi Matteo Renzi. Due incontri simbolici che sembrano preludere l’addio al Quirinale di Giorgio Napolitano. Una decisione annunciata dallo stesso Presidente nel momento in cui accettò il secondo mandato, un unicum in quasi 70 anni di storia repubblicana. In un momento critico nella recente storia italiana il capo dello Stato aveva deciso di assumersi nuovamente l’onere di essere la guida morale del Paese. Ponendo, tuttavia, una precisa condizione: il completamento dell’iter riformatore, almeno per quanto riguarda la legge elettorale.
Per Napolitano quello del Porcellum è stato un autentico cruccio e motivo di scontro con i partiti, in particolare quelli di centrodestra. Del resto il Presidente non ha mai interpretato il proprio ruolo come quello di un semplice “moderatore” equidistante. Il suo mandato sarà ricordato per la forte caratterizzazione politica. Sua la scelta, nel 2011, di concludere l’esperienza dell’ultimo governo Berlusconi. E sempre sua, dopo le tormentate elezioni del febbraio 2012, la decisione di creare un governo delle larghe intese, affidato prima a Enrico Letta e poi a Matteo Renzi. Del premier è sembrato apprezzare lo spirito riformista e, forse, non è un caso che sia stato l’ultimo che ha voluto incontrare in questi giorni. La politica continua a rallentare e il Patto del Nazareno (fortemente voluto dal Capo dello Stato) trema. Da una parte le fratture di Forza Italia, dall’altra le divisioni del Pd. Napolitano ha forse capito che i tempi del Parlamento non coincidono con le sue intenzioni. Il cambiamento deve passare attraverso una volontà condivisa, il più ampia possibile.
Ci troviamo all’alba della Terza Repubblica, che non sarà legata alle fortune personali di un uomo (così come la Seconda è stata strettamente connessa a Berlusconi) ma alle scelte di una nuova Costituente. Per raggiungere questo obbiettivo servirà ancora del tempo. Perché fare le riforme tanto per farle può risultare addirittura devastante, specie in un periodo di profonda crisi economica e sociale. Napolitano vede, quindi, esaurito il suo ruolo, peraltro esercitato (sia pur con le migliori intenzioni) ben oltre i compiti attribuiti dalla Costituzione al presidente della Repubblica. Una scelta dettata dall’inconsistenza di un politica che continua a far prevalere i propri interessi particolari a quelli del Paese. Forse sarà proprio il venire meno dell’ombrello del Quirinale a responsabilizzare i partiti. Il tempo è scaduto e il lungo addio al Colle di Re Giorgio è appena iniziato.