Fino a prima delle elezioni europee erano argomento appannaggio di pochi. Ora, specie negli ultimi giorni, i minibot sono diventati un tema con cui anche gli italiani meno avvezzi alla materia economica hanno preso un minimo di dimestichezza. Già presente nel contratto di governo stipulato tra Lega e M5s, questo strumento finanziario (tecnicamente dei titoli di Stato di piccolo taglio privi di scadenza) è stato rilanciato dal presidente della commissione Bilancio della Camera, il leghista Claudio Borghi, come soluzione per pagare l’annoso problema dei debiti dello Stato verso aziende e privati (si parla di una cifra complessiva che si aggira tra i 50 e i 60 miliardi). L’ipotesi è stata vista, tuttavia, come fumo negli occhi da Mario Draghi. Nella sua stroncatura, il presidente della Bce è stato piuttosto drastico: “I minibot o sono moneta, e allora sono illegali, oppure sono debito, e allora il debito pubblico sale. Non vedo una terza possibilità”. Poco propenso a questa soluzione finanziaria – per usare un eufemismo – anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria.
Rinaldi: “Attiverebbero la crescita”
“Chi critica i minibot, proponga soluzioni alternative, ma vedo che non ne escono”, sbotta un altro economista, il prof. Antonio Maria Rinaldi, neo-eletto all’Europarlamento tra le fila del Carroccio. Intervistato da In Terris, Rinaldi canta le lodi di questi titoli di Stato bonsai. “Il paradosso è che se un cittadino non salda i propri debiti, viene perseguito per legge, mentre lo Stato può permetterselo”, riflette il docente. I minibot – prosegue Rinaldi – “sono uno strumento, ovviamente facoltativo, che permette a privati e aziende di materializzare i crediti che si hanno con la pubblica amministrazione”. Essi – spiega ancora – “possono essere utilizzati subito per andare in compensazione con le tasse, le multe, l’iva, oppure possono essere scambiati”. Ma in che modo? Rinaldi lo spiega così: “Se un cittadino ha un credito di 5mila euro con l’amministrazione che non riesce a riscuotere, può accettare il pagamento in minibot per estinguere i suoi debiti fiscali oppure come mezzo di pagamento che l’esercente il quale, se li accetta, può a sua volta utilizzarli nello stesso modo”,cioè per saldare i debiti con lo Stato. Ma si tratta o no di una valuta alternativa all’Euro, vietata dai trattati europei? Rinaldi spiega che “sono titoli non emessi sul mercato primario, ossia non possono essere scambiati per denaro ma usati solo per estinguere un debito, già contabilizzati, come del resto prevede l’European System of Accounts (Esa95), che è una sorta di bibbia sulla classificazione dei conti pubblici”. L’eurodeputato contesta l’accusa che i minibot aumenterebbero il debito. “Piuttosto – risponde a Draghi – potrebbero aumentare il deficit, ma solo in primo momento, perché poi attiverebbero una crescita che lo andrebbe a riassorbire”.
Zamagni: “Un'illusione, i problemi si risolvono diversamente”
Non la pensa allo stesso modo un altro economista, il prof. Stefano Zamagni, da marzo scorso presidente della Pontificia accademia delle scienze sociali. “Di per sé i minibot potrebbero avere un senso se ci fossero condizioni che, tuttavia, oggi sono assenti”, la sua riflessione ad In Terris. Per Zamagni essi “produrrebbero effetti perversi”. La compensazione tra minibot e tasse, a suo avviso, “non può funzionare”, perché “non tutte le imprese devono pagare tasse allo Stato esattamente corrispondenti al credito maturato”. Egli afferma che “talvolta il credito è di gran lunga superiore”. “Se un cittadino – continua – ha un credito di 5milioni e deve pagare tasse per un milione, anche con i minibot resterebbero inevasi 4milioni”. Ma allora come riconoscere a cittadini e imprese ciò che è dovuto loro? “Esiste già il modo per pagare le imprese che hanno crediti con lo Stato”, dice Zamagni, si tratta del finanziamento alla Cassa depositi e prestiti. Per il professore “gli strumenti monetari non risolvono i problemi reali, sono come come ‘pannicelli caldi’ che si usano per tamponare la falla”. Piuttosto, secondo l’ex docente della Bocconi, “bisogna abbattere i costi produttivi, cioè le imposte dirette”, in quanto “il sistema fiscale tassa ancora troppo i profitti e troppo poco le rendite, che in Italia rappresentano circa un terzo del Pil”. E poi ancora, secondo l’economista della Pontificia accademia, “è necessaria una più dura lotta contro l’evasione fiscale”. Queste le azioni economiche da intraprendere per Zamagni, che conclude: “Inutile cercare scorciatoie di ingegneria finanziaria che illudono soltanto i cittadini”.