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Mezza Italia è ad elevata pericolosità sismica

A39 anni dal terremoto dell’Irpinia che il 23 novembre del 1980 segnò in maniera indelebile i territori di Campania e Basilicata, causando quasi 3.000 morti e determinando una spesa complessiva di circa 26 miliardi di euro, sebbene sia stato fatto tanto, c’è ancora molto da fare per ridurre l’elevato rischio sismico in Italia”. Queste le parole di Lorenzo Benedetto, consigliere del Consiglio nazionale dei geologi ricordando il violento sisma di magnitudo 6.9 che sconvolse le due Regioni.

Prevenzione

“I successivi eventi sismici accaduti in Sicilia, Umbria, Marche, Molise, Abruzzo ed Emilia Romagna, fino a quelli più recenti dell’Italia Centrale e di Ischia, ci indicano che il tema della prevenzione non può essere più rimandato e pertanto – sottolinea sul Sir – dovrebbe essere costantemente al centro dell’agenda politica del Paese. I dati generali indicano che il 46% dell’intero territorio nazionale ricade in area ad elevata pericolosità sismica, in cui sono presenti 6 milioni di edifici e vi abitano più di 22 milioni di persone”. Secondo il geologo, per limitare i danni in caso di terremoti, è necessario mettere in campo una serie di azioni finalizzate a ridurre il rischio. Innanzitutto, per Benedetto “occorre intervenire sul patrimonio edilizio esistente, che spesso risulta vecchio, molto vulnerabile e costruito per la maggior parte in assenza di specifiche norme sismiche, attraverso lavori di adeguamento, miglioramento e rafforzamento degli edifici, al fine di renderli più resistenti in occasione del terremoto”. Recentemente è stato introdotto lo strumento del sismabonus per incentivare i lavori strutturali sugli edifici, che consente un rimborso fino all’85% delle somme spese, ma che tuttavia stenta a decollare. “Prima di realizzare nuove costruzioni o di adeguare sismicamente quelle esistenti, occorre rispettare la normativa sismica e valutare attentamente la pericolosità sismica del sito sul quale si costruisce il fabbricato, accertando sia la presenza di fenomeni di instabilità (frana, liquefazione, subsidenza, sprofondamento), che di amplificazione sismica. Andrebbe inoltre rilanciato e rafforzato con più fondi, il Piano per la mitigazione del rischio sismico, strumento di prevenzione introdotto nel 2010 e che dopo il 2016 non è stato più finanziato”. “È necessario infine, far crescere nei cittadini la consapevolezza del rischio a cui sono esposti, attraverso l’informazione, la conoscenza dei piani di protezione civile comunale e dei comportamenti corretti da tenere in caso di emergenza, al fine di determinare una popolazione più resiliente, a partire dalle scuole, dove noi geologi anche quest’anno abbiamo parlato di prevenzione dei rischi a oltre 120mila studenti”, conclude Benedetto. Il terremoto dell'Irpinia del 1980 si verificò il 23 novembre 1980 e colpì la Campania centrale e la Basilicata centro-settentrionale. Caratterizzato da una magnitudo di 6,9 (X grado della scala Mercalli) con epicentro tra i comuni di Teora, Castelnuovo di Conza, e Conza della Campania, causò circa 280.000 sfollati, 8.848 feriti e, secondo le stime più attendibili, 2.914 morti. Gli effetti del sisma si estesero a una zona molto più vasta rispetto all'epicentro interessando praticamente tutta l'area centro meridionale della penisola: molte lesioni e crolli avvennero anche a Napoli interessando i tanti edifici fatiscenti o lesionati da tempo e vecchie abitazioni in tufo; a Poggioreale crollò un palazzo in via Stadera, probabilmente a causa di difetti di costruzione, causando 52 morti. Crolli e devastazioni avvennero anche in altre province campane e nel potentino, come a Balvano dove il crollo della chiesa di S. Maria Assunta causò la morte di 77 persone, di cui 66 bambini e adolescenti che stavano partecipando alla messa.

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