Allo stato attuale delle cose la vicenda Regeni registra il fallimento della via diplomatica fra i due Paesi. Nessuno spazio alla cooperazione. Nessun risultato condiviso“. Lo ha detto il presidente uscente della Commissione parlamentare per i diritti umani, Luigi Manconi, in un'intervista al Corriere della Sera in cui parla di “silenzio assoluto” del governo Conte dopo “l'inerzia” di quello Gentiloni.
“Rapporto contraddittorio”
“Solo due anni dopo l'avvio delle indagini l'Egitto ha consegnato ai pm italiani i nastri delle telecamere della stazione della metropolitana in cui Giulio Regeni è stato visto l'ultima volta”, ha osservato Manconi, peraltro con “buchi vistosi e non ricostruibili“. Questo, ha aggiunto, è il segnale di “quanto esile e contraddittorio fosse il rapporto con la procura egiziana”, ha aggiunto. Manconi ha criticato anche i ben quattro incontri con il ministro dell'Interno egiziano: “Due del premier Conte, uno di Salvini e uno di Di Maio”. “Una cosa senza precedenti“, ha affermato, “non è più amicizia ma promiscuità”.
Indagini
La Procura di Roma, intanto, si accinge a formalizzare l'iscrizione sul registro degli indagati di alcuni dei nove soggetti, tra poliziotti egiziani e 007 del servizio segreto civile, identificati dagli investigatori di Ros e Sco e ritenuti coinvolti, con ruoli differenti, nel sequestro del 28enne ricercatore di origine friulana e nelle attività di depistaggio scattate all'indomani del ritrovamento del cadavere. Al di là della rinnovata collaborazione reciproca che le autorità giudiziarie di Roma e del Cairo hanno voluto evidenziare nel comunicato congiunto, spicca la volontà manifestata oggi agli omologhi egiziani dalla delegazione italiana, guidata dal pm Sergio Colaiocco, di ritenere che l'iscrizione di quei nomi costituisca ormai un passaggio obbligato per il nostro ordinamento processuale, step che la legislazione locale non contempla. Fermi restando i buoni rapporti tra i due uffici che si sono impegnati a incontrarsi di nuovo per fare il punto delle indagini, la Procura di Roma, insomma, ritiene che oltre due anni di accertamenti e ben dieci incontri tra inquirenti finalizzati allo scambio di atti e di informazioni siano più che sufficienti per dare una significativa accelerazione all'inchiesta.