Luca Gramazio, consigliere regionale di Forza Italia, nega tutto: “Non ho preso manco una lira” dice rivolgendosi al gip Flavia Costantini nel corso dell’interrogatorio di garanzia svolto nel carcere di Rebibbia, dove si trova detenuto nell’ambito dell’inchiesta su mafia capitale. L’atto istruttorio è durato oltre due ore durante le quali Gramazio, in base a quanto si apprende, ha respinto le accuse dando una sua versione dei fatti. L’interrogatorio si è svolto “in un clima sereno e collaborativo”.
Gramazio, a cui i pm di Roma contestano i reati di associazione a delinquere di stampo mafioso e la turbativa d’asta – relativamente alla gara da 60 milioni di euro per il Recup, il sistema di prenotazione unificato della Sanità – rappresenta una delle figure chiave di questa seconda tranche della maxi inchiesta sul malaffare capitolino. Per chi indaga l’esponente di Forza Italia rappresenta, infatti, la cerniera tra il clan guidato da Massimo Carminati e le amministrazioni locali.
La difficile per il 34enne erede della famiglia storica della destra, diventa sempre più difficile. Arrestato due giorni fa dai carabinieri del Ros per associazione mafiosa e corruzione, avrebbe ricevuto dal clan di Massimo Carminati 98mila euro in varie tranche e altre “utilità”. E’ quanto sostengono i magistrati. Gramazio ha accettato di rispondere alla presenza dei pm Paolo Ielo e Luca Tescaroli e l’interrogatorio è durato oltre due ore, durante le quali ha respinto tutte le accuse e dato la sua versione.
Secondo il pm Gramazio avrebbe svolto un ruolo di cerniera tra l’organizzazione di Carminati e Salvatore Buzzi e le istituzioni locali. Intervenendo sul bilancio del Campidoglio per garantire gli stanziamenti a favore delle cooperative di Mafia Capitale e poi alla Regione nel tentativo di orientare una gara d’appalto da 60 milioni nella sanità. I Ros hanno documentato vari incontri tra Gramazio e Carminati: l’ex terrorista dei Nar aveva un rapporto di amicizia sia con lui che con il padre Domenico. Personaggio di “straordinaria pericolosità” e “asset istituzionale” del clan, lo definiscono inquirenti e magistrati.