L’Europa entra a gamba tesa sui matrimoni omosessuali. Strasburgo ha inviato una richiesta a 10 Stati membri, fra cui il nostro, affinché approvino leggi che rendano legali le unioni civili e riconoscano le famiglie composte da persone dello stesso sesso. Si tratta, bisogna dirlo, di una risoluzione non vincolante e che, dunque, non impone obblighi all’Italia. Ma in un momento in cui il Parlamento è impegnato nella discussione sul ddl Cirinnà non potrà non avere conseguenze politiche. Gli eurodeputati, nel documento sullo stato dei diritti fondamentali nella Ue, affermano che “i diritti fondamentali delle persone Lgbti (lesbiche, gay, bisessuali e transgender e intersessuati, ndr) sono più probabilmente tutelati se hanno accesso a istituti legali come coabitazione, partnership registrata o matrimonio”.
Il Parlamento europeo, prosegue, “accoglie con favore il fatto che 19 Stati membri attualmente offrano tali opzioni e chiede agli altri di valutare di fare lo stesso; ribadisce inoltre la richiesta che la Commissione presenti una proposta per un regolamento ambizioso con cui garantire riconoscimento mutuo dei documenti di stato civile (inclusi riconoscimento legale del genere, matrimoni e partnership registrate) e loro effetti legali, per ridurre le barriere legali e amministrative che siano discriminatorie per cittadini che esercitano il loro diritto di libero spostamento”. Per l’Italia è il secondo richiamo in pochi mesi ad arrivare dalle istituzioni continentali. L’ultima era stata la Corte di Strasburgo sui diritti umani che, lo scorso luglio, aveva condannato il Bel Paese per il mancato riconoscimento delle unioni civili omosessuali. Ferma restando la condanna nei confronti di qualunque discriminazione verrebbe da chiedersi in quale situazione si troverebbero ora le migliaia di famiglie tradizionali in difficoltà se nei loro confronti fosse stata usata la stessa attenzione e fermezza.